sabato, dicembre 03, 2005

Ancora Totò Cuffaro (il Campione)

La concessionaria d’automobili Supercar svetta all’imbocco dell’autostrada Palermo – Catania. Bisogna partire da qui per districarsi nella ragnatela di sospetti lanciata dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso sulle protezioni di politici, imprenditori e poliziotti a favore di Bernardo Provenzano, il numero uno di Cosa Nostra. Proprio qui, la mattina del 3 giugno 2001, l’assessore alla Salute del Comune di Palermo Domenico Miceli organizza un incontro elettorale per candidarsi (invano) alle Regionali. Ma non è un incontro qualsiasi. I carabinieri del Ros, appostati, vedono entrare oltre a professionisti e imprenditori, anche il latitante Francesco Di Fresco, Giovanni Di Lisciando e diverse altre persone vicine al padrino di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. Il boss, di professione medico, viene da sempre considerato vicino a Provenzano, perchè ne ha operato la moglie: tanto che il capo dei capi gli perdona gli errori del passato, come conferma il pentito Nino Giuffrè.
Da due anni i Ros gli ha messo delle cimici in casa. Tre giorni dopo l’incontro alla Supercar, viene chiesta un’intercettazione urgente anche su Miceli, che a lungo ha frequentato la casa di Brancaccio, fin dai tempi degli studi in chirurgia. Miceli si vanta con il boss di poter intercedere per alcuni favori, come l’assunzione di due medici, tramite un amico che conosce fin dai tempi dell’università, Totò Cuffaro. Durante questi giorni di delicatissime intercettazioni del boss e di Miceli succede però che Guttadauro scopra le otto cimici in casa e le stacchi: un segnale evidente che nella Direzione distrettuale antimafia c’è una talpa. E che qualcuno vuole proteggere il braccio destro di Provenzano, amico di Miceli. Nei guai finisce proprio l’uomo che ha messo le cimici: il maresciallo del Ros Giorgio Riolo. E con lui viene arrestato un altro ex maresciallo del gruppo, il deputato regionale Cdu Antonio Borzacchelli. Anche Borzacchelli conosce Cuffaro dai tempi della prima legislatura Dc del presidente della Sicilia, perché la moglie dell’ex carabiniere era dipendente del partito. Ed è lui secondo quanto riferisce in un interrogatorio Cuffaro, a presentargli Riolo.
Niente di strano se non fosse che nei giorni in cui Guttadauro stacca le microspie, secondo una relazione della Procura di Palermo, Riolo, Borzacchelli e Cuffaro hanno avuto tra loro diverse telefonate. Che incrociate con i tabulati di Miceli, fanno nascere i sospetti della procura sul presidente. Almeno quando viene sequestrato il pc di Miceli che contiene tre file criptati. Uno si chiama “tessere.mdb”, l’altro “elezioni regionali”: e spiegano i meccanismi elettorali di Miceli con tesserati e consegnatari responsabili. Solo che tra i “consegnatari” c’è perfino il latitante Francesco Di Fresco. Ma è il terzo il file più importante: si tratta di un’agenda che riporta il numero di diversi cellulari a uno stesso nome. E’ lì che si scopre che diverse utenze chiamate de Borzacchelli e Riolo appartengono a Cuffaro.
Tra i tanti arrestati, c’è anche Salvatore Aragona, altro medico, pentitosi che dichiara: “Il presidente della regione praticamente mi aveva riferito che c’erano delle indagini in corso nei confronti del Riolo e del Ciuro, notizie che aveva ricevuto da Roma “. Accusato da una parte di sapere che Miceli era indagato e dall’altra che erano indagati pure quelli che lo controllavano, Cuffaro deve affrontare un terzo problema. Perché il Ciuro cui fa riferimento Aragona è il maresciallo Giuseppe Ciuro, condannato il 18 Aprile a quattro anni e mezzo per aver rivelato all’imprenditore Michele Aiello che era indagato. E il fatto è che Aiello, Riolo, Borzacchelli e Cuffaro si conoscono tutti. Seppure per ragioni diverse. Cuffaro prima di tutto perché è un radiologo e la clinica di Aiello è la più rinomata della Sicilia. Secondo perché Aiello he rilevato l’azienda di analisi cliniche in cui la moglie di Cuffaro aveva una quota del 20%, la Ria. Ma ai magistrati interessa un alteriore aspetto di Aiello. Uno più sinistro. Perché è vero, l’ingegnere di Bagheria Michele Aiello nasce come costruttore e si specializza poi nel settore sanitario. Ma fin dal 1994 qualcuno fa il suo nome alle forze dell’ordine come vicino a Cosa Nostra. E il 4 dicembre del 2002 l’ex capomandamento di Caccamo, Nino Giuffrè, fa ritrovare in un barattolo la corrispondenza di Provenzano, dove il Racis di Messina individua cinque lettere del capo dei capi. In una, indirizzata proprio a Giuffrè, c’è scritto: “SENTI ASSIEMI, AL TUO PRESENTE, TI MANDO 21 ML SALDO PER STRADE AIELLO AL TUO PAESE. DAMMI CONFERMA CHE LI RICEVI “. L’ ingegnere si è sempre difeso dicendo che era stato costretto a pagare il pizzo. Ma aggiunge Giuffrè, negli interrogatori del 12 marzo a Palermo che ”Aiello non direi che è una vittima , perchè diciamo che tutto questo fa parte del gioco imprenditoriale, appositamente, che quando si aggiudicano un lavoro e prima di andare a mettere mani in un determinato posto, ci si deve mettere in contatto con Cosa Nostra…”
Secondo la procura i rapporti tra i due erano talmente buoni da ipotizzare che a lungo Provenzano si fosse nascosto nel sottosuolo della clinica attraverso un tunnel. Lo cercano da aprile. Cuffaro è sotto processo per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Forse davvero solo per le sue amicizie pericolose. Tra queste, per la verità, ce n’è un’altra. Assai pesante. Perché è l’intestatario di uno dei suoi cellulari, almeno da quanto risulta dal noto file criptato nel pc di Miceli: si chiama Francesco Campanella. Ex presidente del consiglio di Villabate, Campanella fu l’uomo che firmò i documenti falsi di Provenzano per inviarlo a operarsi a Marsiglia. Arrestato si è recentemente pentito. Campanella può dare l’ennesimo colpo di scena a una serie di processi ancora tutti aperti. Chiarire finalmente le ombre paventate dal procuratore Grasso o infittirle ancora di più. Può farlo lui, o forse l’ancora, l’ennesima talpa dei Ros, rimasta al momento anonima. Quella che l’11 maggio del 2001, alle 14.33, chiamò il cellulare di Domenico Miceli dagli uffici di Monreale.

NEWS SETTIMANALE n, 24 2 novembre 2005

Una volta in un interrogatorio alla domanda sui rapporti tra mafia e politica, Tommaso Buscetta (ex capomandamento di Porta Nuova) risponde: ”Di mafia e politica non si può parlare altrimenti finisce male per tutti: voi sottoterra(G. Falcone) e io al manicomio “.

Sciascia invece scrive: “ Chi non ricorda la strage di Portella della Ginestra, la morte del bandito Giuliano, l’avvelenamento in carcere di Gaspare Pisciotta? Cose tutte, fino ad oggi avvolte nella menzogna. Ed è da allora che l’Italia è un paese senza verità. Ne è venuta fuori, anzi, una regola: nessuna verità si saprà mai riguardo fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere.”

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