venerdì, gennaio 20, 2006

Relazione della commissione nazionale anti mafia

PALERMO - Traffico di stupefacenti, estorsioni, usura e appalti pubblico costituiscono il fulcro dell'attività delle cosche mafiose. Lo ha sancito la la Commissione nazionale Antimafia, presieduta da Roberto Centaro, nella sua relazione conclusiva."Il traffico di stupefacenti - si legge nella relazione - costituisce una delle fonti primarie di approvvigionamento. Per quanto riguarda il mercato interno, può dirsi che l'organizzazione mafiosa sembra in questa fase preferire il mercato delle sostanze stupefacenti leggere, anche se è stato pure registrato un sensibile aumento dell'uso della cocaina. Sembra, tuttavia, che nell'ultimo periodo Cosa nostra abbia delegato questa attività ad organizzazioni criminose non ad esse organiche, in special modo agli stranieri". "In questo caso - aggiungono i commissari - Cosa nostra non rinunzia mai ad imporre il pagamento del pizzo, come del resto avviene con riferimento alle altre attività illecite di un qualche rilievo gestite dalla criminalità comune".Per quanto riguarda il traffico internazionale di stupefacenti, "va invece sottolineato che Cosa nostra si è prontamente adeguata alle nuove forme di transnazionalità dell'economia criminale, alleandosi con altre associazioni criminali italiane e straniere: sono stati, infatti, rilevati collegamenti con esponenti della 'ndrangheta, della camorra e della Sacra Corona Unita ed, inoltre, con associazioni criminali del resto d'Europa e, principalmente, dell'Albania, dei Paesi dell'Est europeo, della Turchia e dell'America Latina (Colombia e Argentina)".L'Antimafia prende spunto da alcune indagini recenti che hanno permesso di accertare "la sussistenza di ben collaudati canali d'importazione di ingenti partite di eroina e cocaina e marijuana e hashish, che fanno capo a personaggi organicamente inseriti in Cosa nostra, ovvero, più frequentemente, gestiti da soggetti ad essa contigui con capitali forniti anche dalla mafia".Nel capitolo che riguarda il fenomeno delle estorsioni e dell' usura, nella relazione si legge che il dato messo in evidenza durante le audizioni svolte dalla Commissione a Palermo è che, "a fronte di un fenomeno in grande espansione, sono state invece registrate a Palermo nell'anno 2003 solo 57 denunce per estorsione e 18 per usura". "È noto - scrive Centaro - che il meccanismo delle estorsioni ha sempre consentito a Cosa nostra di realizzare non solo considerevoli profitti ma anche un sistematico controllo del territorio, sul quale esercita un potere illegale di imposizione fiscale in ragione dei corrispettivi servizi di protezione"."Alcune recenti acquisizioni processuali - prosegue - hanno, in effetti, rivelato la tendenza delle famiglie di Cosa nostra ad adottare una metodologia che può ben definirsi a tappeto, intensificando la pressione estorsiva per potere fare fronte alle esigenze degli uomini d'onore detenuti; soprattutto a quelle correlate al pagamento delle parcelle dei difensori. Emerge, dunque, che la linea di azione dell'organizzazione mafiosa "è attualmente quella del pagare poco, ma pagare tutti, cioè di una imposizione più generalizzata del pizzo che possa però essere meglio sopportata dalle vittime, al fine di scongiurare fenomeni di ritorsione e di denuncia"."È stato notato - si precisa nella relazione - che Cosa nostra destina quote dei suoi proventi illeciti sia alla cura dei latitanti sia all'assistenza dei detenuti; un'altra parte viene impiegata per le spese degli avvocati. Il resto viene quasi interamente investito nell'acquisto di appartamenti". Il bilancio economico della mafia in Sicilia è basato in particolare su "investimenti nelle imprese sul territorio siciliano, che costituiscono l'oggetto privilegiato delle misure di prevenzione patrimoniali e delle confische in sede penale. Le indagini hanno accertato l'esistenza di due categorie d'imprese: quelle operanti nel settore del commercio, piccolo o grande, e a volte anche nella grande distribuzione; e quelle dei settori tradizionali, come l'edilizia e la sanità, o quelle per lo sfruttamento di inerti e delle cave di marmo e quelle del settore agricolo"."Le ultime indagini confermano la capacità di infiltrazione della mafia in tutti i settori della società civile. Questa situazione è favorita da un sistema diffuso di corruzione, agevolato dalla mancata attuazione delle riforme che dovrebbero consentire controlli e trasparenza nel mondo politico e nella pubblica amministrazione". La relazione della Commissione antimafia cita in alcuni passaggi la vicenda giudiziaria che riguarda il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, sotto processo per favoreggiamento a Cosa nostra. Mentre riserva molto spazio a quella che coinvolge il deputato regionale agrigentino Vincenzo Lo Giudice, arrestato per associazione mafiosa.Ancora nella relazione, si riportano i rapporti tra Cuffaro e Aiello, e quelli "con alcuni personaggi politici citati pure dalle cronache giudiziarie: Tubiolo, Bignardelli, Cintola, Savarino, Giammarinaro, Romano, Borzacchelli, Lo Giudice, Di Mauro, Miceli". "È importante notare - scrive Centaro rifacendosi alla missione a Palermo in cui venne ascoltato il governatore - che l'onorevole Cuffaro ha fornito risposte esaurienti a tutte le domande che gli sono state poste e comunque ha tenuto a sottolineare di essere ben consapevole dei pericoli derivanti dall'influenza della mafia sugli apparati dell' amministrazione e sulla politica e che esiste la precisa volonta da parte dell'amministrazione, della politica, della classe dirigente di fare in modo che ciò non avvenga più, o almeno che tale fenomeno venga ridotto il più possibilè ". A proposito dei rapporti fra mafia e politica, Centaro nella relazione si rifa alle parole del Procuratore di Palermo Pietro Grasso che in una intervista rilasciata il 10 ottobre 2003 aveva dichiarato: "Il sistema clientelare ha favorito la permeabilità del sistema politico a quello mafioso e, in un sistema di concorrenzialità elettorale, un partito non può fare nulla contro tutto ciò. Per questo è errato dare la colpa solo a un partito politico". "Questa posizione - si legge nella relazione - è stata ribadita nel corso delle audizioni dinanzi alla Commissione, nelle quali si è precisato che Cosa nostra non sceglie pregiudizialmente di sostenere un partito anzichè un altro; non ha alcuna importanza la colorazione politica del referente; ciò che conta è che egli si metta a disposizione dell'organizzazione". Per Centaro "il passaggio al sistema elettorale maggioritario ha indotto Cosa nostra a scegliere il candidato che ha le maggiori probabilità di essere eletto, indipendentemente dalla sua collocazione politica".
20 Gennaio 2006

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