mercoledì, aprile 12, 2006

Il covo di provenzano

CORLEONE (PALERMO) - Un letto, un armadio, un cucinino: essenziale senza fronzoli, senza accorgimenti tecnici particolari ma solo una stufa contro il freddo: è questo il covo del boss Bernardo Provenzano, dove il latitante ha vissuto negli ultimi tempi e dove oggi è stato arrestato. Gli investigatori stanno perquisendo accuratamente il casolare in località "Montagna dei cavalli". L'edificio è semidiroccato e intorno vi sono campi coltivati a ortaggi. A un centinaio di metri di distanza in linea d'aria sorgono diverse villette, ben rifinite, utilizzate per la villeggiatura estiva.La casa rurale è adiacente a un ovile e a un capanno che funge da deposito di attrezzi e fienile. Accanto c'è un altro locale utilizzato dal pastore Giovanni Marino, arrestato con il padrino corleonese, per produrre formaggi e ricotte. Marino è solo omonimo di un nipote di Luciano Liggio, il boss corleonese che diede l'avvio dell' avanzata dei cosiddetti "viddani" dalla cittadina verso Palermo e che poi, con l'avvento di Totò Riina e Bernardo Provenzano, si è conclusa con l'egemonia dei corleonesi nell' organizzazione criminale Cosa nostra.Nella casetta c'è un bagno con la doccia e un frigorifero. L'abitazione aveva l'allacciamento con l'Enel e così il boss poteva utilizzare la macchina da scrivere elettrica Brother per scrivere messaggi ai familiari e ad altri mafiosi. La casa, tra l'altro, non è circondata da muri, da reti di protezione o filo spinato ed è accessibile da tutti i lati: dalla strada attraverso un cancello o dai campi attorno.Viveva quindi in modo spartano il padrino che riceveva i pacchi con l'abbigliamento e altri generi di necessità inviati dalla famiglia attraverso intermediari. All'interno del casolare gli investigatori hanno trovato diversi oggetti personali del boss, una macchina da scrivere e alcuni "pizzini": probabilmente corrispondenza tra il capo di Cosa nostra e i suoi affiliati. Provenzano aveva sistemato dei teli di plastica alle finestre per evitare che dall'esterno, durante le ore notturne, si notasse la luce accesa. Il casolare risultava infatti disabitato ed era frequentato dal proprietario, il pastore fermato dagli investigatori, solo durante il giorno.Nella porta era stata inoltre realizzata une feritoia attraverso la quale il boss poteva controllare quando avveniva all'esterno. Al casolare si accede, dopo un cancello di ferro, percorrendo una stradella sterrata lunga circa 200 metri. I pm Michele Prestipino e Marzia Sabella, che hanno coordinato l'operazione, hanno detto che il covo di Provenzano era esattamente come l'avevano sempre immaginato. 11/04/2006

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