venerdì, aprile 28, 2006

Mini rivoluzione a Palermo

PALERMO - L'ha fatto sapere a tutti che lui non avrebbe pagato mai. Appena ha capito cosa gli stavano facendo si è incamminato verso il centro della strada e ha cominciato a urlare, poi ha afferrato il suo telefonino e chiamato il 113 e anche il 112, polizia e carabinieri insieme. Non si è mosso di un passo, fino a quando non sono arrivate le pattuglie. E a voce alta, così che gli altri potessero sentirlo, ha raccontato: "Mi hanno chiesto il pizzo ma io non ci sto". È un artigiano che ha la bottega tra il teatro Massimo e piazza Politeama l'ultimo ribelle di Palermo.
Come lui, ormai ce ne sono almeno cento. Stanno uscendo tutti allo scoperto, stanno dicendo a tutti che loro non si piegheranno più. E' una piccola grande rivoluzione quella che sta avvenendo nella capitale della Sicilia, quartiere per quartiere soffocata da quella tassa, il cento per cento dei commercianti che versa per sopravvivere, appena sette le denunce inoltrate negli ultimi cinque anni alla procura della repubblica.
Sono i primi fuochi di una rivolta. I nomi dei cento commercianti palermitani che hanno detto no all'Anonima Estorsioni saranno resi noti il prossimo 2 maggio in un incontro pubblico allo Steri, una volta palazzo dell'Inquisizione e oggi sede del rettorato dell'Università.
Quegli stessi commercianti il 5 maggio si presenteranno in carne ed ossa alla Kalsa per la prima giornata siciliana del "pizzo free", si faranno conoscere dalla città, venderanno i loro prodotti, si libereranno per sempre dalla paura. A metterli tutti insieme sono stati quelli di "Addio pizzo", la prima associazione anti racket di Palermo. "Ma oltre questi primi cento ce ne sono tanti altri che hanno deciso di non subire più il ricatto, hanno solo bisogno di ancora un po' di tempo per trovare il coraggio di mostrarsi", spiega Francesco Galante, uno degli studenti del movimento che sta provando a far riemergere Palermo dalle sue paludi.
L'hanno messa su loro la manifestazione alla Kalsa. E soprattutto sono loro che stanno facendo nascere una speranza dove il pizzo sembrava intoccabile. Dal giugno del 2004 hanno cominciato a esplorare il mondo del racket, quello delle vittime dirette e indirette, commercianti e consumatori. "A Palermo in qualche modo pagano tutti", dice ancora Francesco mentre ricostruisce come "Addio pizzo" ha iniziato la sua ricerca nei gironi infernali delle estorsioni.
Sono partiti dai palermitani, dai cittadini che comprano pane e comprano frutta, che portano le loro auto nei garage, che vanno a cena nei ristoranti. E a loro hanno chiesto di stare dalla parte di quelli che non vogliono inchinarsi alle angherie dei clan. Prima erano solo qualche centinaia, poi sono diventati 3500, adesso sono 7120. Hanno sottoscritto una lista di "sostegno", di solidarietà a quegli altri.
"Schierarsi con i commercianti è fondamentale in una città come Palermo, non li fa sentire soli, chi non paga e denuncia spesso entra in un calvario dove i danni sono superiori ai benefici", raccontano gli studenti dell'anti racket. E così è nato lo slogan: "Contro il pizzo cambia i consumi". Scegliere i prodotti di chi non si piega. Ma senza criminalizzare gli altri, senza fare ma un elenco di "cattivi". Dopo avere raccolto quelle settemila e passa firme è cominciata la caccia ai commercianti più coraggiosi. Per due anni, giorno per giorno e zona per zona. Off limits tutte le borgate, inaccessibili quelle ad est e quelle altre ad ovest. È al centro di Palermo che sta cambiando qualcosa. Nel salotto di via Ruggiero Settimo, nelle stradine che vanno dal teatro Massimo fino all'inizio di via Libertà.
È proprio in quella parte di città che l'artigiano ha chiamato carabinieri e polizia davanti a tutti. Era mattina presto, stava per tirar su la saracinesca della bottega, ha infilato la chiave nel lucchetto e ha capito. La chiave non entrava nella serratura, l'avevano riempita di colla. E' il segnale che lascia sempre il racket: l'attack. La minaccia più silenziosa che c'è.
Quando la chiave non entra basta aspettare, gli esattori si fanno sempre vivi. L'artigiano non ha aspettato. Ma prima di lui ne erano spuntati altri 99 di ribelli. Sempre in quelle strade tra i due grandi teatri di Palermo. Sono uomini e donne tra i 30 e 50 anni, sono laureati o diplomati, hanno negozi di abbigliamento, librerie, gioiellerie, c'è anche qualche ristoratore. Alcuni hanno subito richieste esplicite di pizzo, qualcuno è stato "avvisato", altri si sono messi di traverso con i boss senza ancora avere ricevuto pressioni. Sono loro che si riveleranno alla città nella giornata del "free pizzo" nella piazza della Magione, alla Kalsa.
"Li metteremo in contatto con quei 7120 palermitani della lista di sostegno, così apriamo una nicchia di economia pulita per Palermo, prima o poi questa nicchia diventerà un circuito", annunciano ancora quelli di "Addio pizzo".
È la prima volta di Palermo. Solo un anno fa erano solo una quarantina all'assemblea che gli industriali avevano convocato contro il racket al teatro Biondo, una quarantina su 25 mila imprenditori e quasi 300 mila commercianti siciliani. Non c'era neanche il presidente di Confcommercio Roberto Helg, che è anche il presidente della camera di Commercio. Come vice Helg si è appena scelto Giuseppe Albanese, responsabile delle piccole e medie imprese della provincia e una condanna a un anno e quattro mesi per favoreggiamento nei confronti dei suoi estorsori. Ha negato di averli mai pagati.
Un mutamento lento. E tra tanti brividi. L'ultima scorribanda del racket è di qualche settimana fa. Estorsione dopo estorsione i boss volevano impadronirsi dell'Antica Focacceria San Francesco, uno dei locali storici di Palermo. Lì dentro festeggiò con sfincioni e marsala Ruggiero Settimo nel 1848, quando fu eletto capo del governo nell'anno della proclamazione del primo parlamento siciliano. E per "pane e milza" ci finì pure nel 1860 Peppino Garibaldi, che qualche giorno prima era sbarcato a Marsala con i suoi Mille.

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