mercoledì, aprile 12, 2006

Un po' su Provenzano

PALERMO - È stato, per oltre quarant'anni, il capo più misterioso di Cosa nostra. Bernardo Provenzano, classe 1933, corleonese, detto "zu Binu", conosciuto anche come "u tratturi", il trattore, per la sua determinazione, è il superboss che vanta il primato della più lunga latitanza nella storia della mafia. Il suo volto, ignoto persino ai "soldati" dell'esercito corleonese, è stato per decenni quello di un fantasma. Ma dopo la cattura di Totò Riina, nel gennaio del '93, è toccato a lui il compito di prendere in mano le redini di Cosa nostra, decimata dagli arresti, indebolita dalle "cantate" dei pentiti, impoverita dai sequestri di armi e di denaro, e di tentare di rimettere in piedi l'organizzazione allo sbando. Lui solo, del resto, aveva il carisma per richiamare all'ordine il popolo degli uomini d'onore, cercando di ricompattarlo.
Nell'ordinanza di rinvio a giudizio del maxiprocesso, i giudici di Palermo scrivevano che Provenzano "si è rivelato uno dei personaggi più sfuggenti ed inafferrabili, oltre che uno dei più feroci e sanguinari, di Cosa nostra". La Procura è oggi convinta che si deve a "zu Binnu" la contrattazione di un "patto di non belligeranza" tra le famiglie mafiose di Palermo e i clan corleonesi. La sua scalata criminale comincia negli anni Cinquanta, quando Provenzano, insieme a Totò Riina, ed a Calogero Bagarella (che rimarrà ucciso nella strage di via Lazio del '69) diventa il più fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo incontrastato della mafia corleonese. L' approdo ai vertici di Cosa nostra avviene alla tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta: dopo aver infiltrato ogni cosca con uomini di estretta osservanza "corleonese", ed avere poi eliminato tutti gli avversari a colpi di kalashnikov, Provenzano e Riina sono ormai i capi assoluti di Cosa nostra.
Il nome di Provenzano compare in decine di processi. Di lui hanno parlato tutti i pentiti di Cosa nostra, a partire dal boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, dilungandosi sul complesso rapporto di amore-odio che lo ha legato per un quarto di secolo a Totò Riina. Luciano Liggio, che tra i due ha sempre privilegiato Riina, di Provenzano diceva: "Spara come un dio, peccato che abbia il cervello di una gallina". Interrogato dopo la cattura, Totò Riina ha smentito ogni legame con "Zu Binu": "So che Provenzano è un mio compaesano - ha detto - Ma io non lo conosco". Insomma: nè Liggio nè Riina in dichiarazioni processuali hanno cercato di accreditare la statura mafiosa di Provenzano.
Ma il pentito Totò Cancemi sostiene che Provenzano è il boss che "tiene in mano tutti gli appalti ed i rapporti con i politici". Il pentito Gioacchino Pennino, medico, ex consigliere comunale Dc, ex uomo d'onore di Brancaccio, ha spiegato che Provenzano ha sempre mantenuto un ruolo di assoluto primo piano all'interno di Cosa nostra. E che, se Riina è stato per anni capo militare dell' organizzazione, Provenzano rappresentava invece la "mente" politica, lo stratega in grado di gestire i rapporti con il complesso mondo della politica. Sulla sorte di Provenzano, negli ultimi anni, si sono intrecciate le ipotesi più disparate. Tanto che Balduccio Di Maggio, nel 1993, ipotizzò che "zu Binu" potesse essere morto.
Ipotesi smentita dallo stesso Provenzano che, nell'aprile del '94, inviò una lettera al presidente della Corte d'assise di Palermo, Innocenzo La Mantia, per nominare gli avvocati Salvatore Traina e Giovanni Aricò suoi legali di fiducia, nel processo per l'omicidio di Giannuzzu Lallicata. La lettera, ritenuta autentica, risultava spedita da un tale "Catalano Serafino", residente in via Albanese 18, un edificio a pochi passi dal carcere dell'Ucciardone. Un nome, ovviamente, di fantasia. Nei giorni scorsi l'avvocato Traina, intervistato dal quotidiano "La Repubblica", aveva ipotizzato che Provenzano fosse morte "da diversi anni". Oggi l'arresto.
11/04/2006

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