mercoledì, ottobre 18, 2006

Arresti nel trapanese

TRAPANI - I carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Trapani e delle compagnie di Mazara del Vallo e Castelvetrano hanno arrestato tre persone ritenute i capi della cosca mafiosa di Mazara del Vallo. In carcere sono finiti Salvatore Tamburello, 74 anni, già condannato definitivamente per mafia, il figlio Matteo, di 44, e il genero Giovanni Giacalone, di 41, tutti mazaresi. Le indagini dei carabinieri hanno dimostrato come l'anziano boss, nonostante lo stato di detenzione a cui è stato sottoposto in passato, e poi scarcerato per motivi di salute, continuasse a dettare ordini, che venivano eseguiti secondo l'accusa tramite l'intermediazione del figlio.Gli investigatori hanno ricostruito una serie di vicende determinanti per la vita e gli assetti di Cosa nostra mazarese. I tre provvedimenti sono stati emessi dal gip di Palermo, su richiesta del procuratore aggiunto Alfredo Morvillo e dei sostituti della Dda, Pierangelo Padova e Paolo Guido. L'operazione è stata denominata "Oriente seconda fase", e rappresenta lo sviluppo delle attività investigative condotte sempre dal Reparto operativo che, nel maggio 2005, condussero all'arresto di 11 persone, azzerando di fatto i vertici di alcune famiglie mafiose della Valle del Belice.
Salvatore Tamburello, noto come "u puzzaru" per via dell'attività di trivellazione di pozzi che esercitava, e che attualmente esercita il figlio Matteo, arrestato anche lui stamani, è un anziano esponente di spicco di Cosa nostra trapanese. Il vecchio Tamburello è stato detenuto fino all'11 novembre 2004 nel carcere di Sulmona, da dove è stato scarcerato per motivi di salute. I carabinieri hanno accertato che nonostante la detenzione, il boss ha esercitato ugualmente sul territorio la sua funzione di reggente che avrebbe continuato a fare, secondo l'accusa, anche dopo essere uscito dal carcere. Le indagini hanno permesso di accertare come Salvatore Tamburello, attraverso il figlio Matteo ed il genero Giovanni Giacalone, ricevesse puntuali informazioni sulle vicende del mandamento mafioso, impartendo direttive. Gli inquirenti sostengono che Matteo Tamburello teneva i contatti con il boss Andrea Manciaracina, all'epoca latitante, dal quale veniva periodicamente convocato per trattare vicende relative agli interessi di Cosa nostra, che lo stesso Matteo, in alcune intercettazioni ambientali, non esitava a definire "istituzionali". Proprio dalle intercettazioni emergono i timori dei Tamburello in seguito dell'arresto di Manciaracina, catturato nel 2003 assieme al latitante marsalese Natale Bonafede. Dall'indagine emerge che l'anziano boss, all'epoca detenuto nel carcere di Trapani, aveva il timore che i due latitanti, una volta finiti in cella, avrebbero potuto aprirsi alla collaborazione con la giustizia e per questo aveva cercato di avvicinarli visto che si trovavano nello stesso istituto di pena.Le indagini hanno poi consentito di accertare come Matteo Tamburello provvedeva al sostentamento delle famiglie degli affiliati che erano arrestati. In particolare nel periodo natalizio, Matteo effettuava "il giro" e portava i soldi che l'associazione destinava alle famiglie dei detenuti mafiosi. Erano somme che variavano da mille a cinquemila euro.
18/10/2006
Fonte: La Sicilia

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