sabato, ottobre 14, 2006

De Mauro, parla La Licata

PALERMO. Mauro De Mauro, il giornalista del quotidiano L’Ora di Palermo sequestrato sotto casa il 16 settembre del 1970, «fu ucciso dalla mafia dopo essere stato “interrogato”» sulla natura delle notizie che aveva scoperto. Il corpo venne seppellito sul greto del fiume Oreto, il corso d’acqua che attraversa il territorio dov’è sorta la Circonvallazione di Palermo.
Questo racconta Francesco Marino Mannoia, il collaboratore chiamato a testimoniare al processo che vede il boss Totò Riina - a distanza di 36 anni dai fatti - unico imputato dell’omicidio del giornalista. Ma non dice solo questo, l’ex mafioso, parlando in videoconferenza dagli Stati Uniti (dove vive sotto protezione). «Il corpo di De Mauro - aggiunge - fu spostato, insieme con altri cadaveri seppelliti nelle vicinanze, perchè Cosa nostra temeva che potessero essere trovati nel corso dei lavori che di lì a poco sarebbero iniziati. Tutti furono sciolti nell’acido, ecco perché di quei corpi non è stato mai trovato nulla». Marino Mannoia, che dentro Cosa nostra è soprannominato «mozzarella», indica anche il posto esatto dove la mafia aveva improvvisato una specie di cimitero clandestino: «Sotto la Circonvallazione, nei pressi del bar Settebello». E la riesumazione («alcuni corpi non erano ancora decomposti») fu seguita personalmente da lui, allora luogotenente del boss Stefano Bontade.
L’operazione riuscì perché venne utilizzata una tecnica nuova «importata» dagli Stati Uniti da Salvatore Inzerillo, amico di Bontade. Per sciogliere i cadaveri si fece ricorso per la prima volta all’acido, altra cosa rispetto ai sali chimici «che non riuscivano a far sparire tutto». Marino Mannoia, come spesso gli è accaduto nel corso di tanti anni di processi, è apparso sicuro di sè quando ha descritto fatti vissuti direttamente. E, ovviamente, è stato più fumoso quando ha riferito notizie apprese da altri. Sul movente che avrebbe causato la fine di Mauro De Mauro, il collaboratore ha finito per fungere da riscontro alle dichiarazioni dell’altro pentito, Tommaso Buscetta, che aveva descritto il giornalista come «pericoloso» per la mafia, specialmente dopo aver scoperto qualcosa sulla tragica fine del presidente dell’Eni Enrico Mattei, vittima di un oscuro incidente aereo nel 1962. Secondo Buscetta, l’aereo di Mattei sarebbe stato sabotato mentre era fermo all’eroporto di Catania.
La manovalanza dell’attentato stava nella mafia, la testa abitava nelle alte sfere dei grandi giochi petroliferi. Il boss aveva parlato di un intervento di Cosa nostra americana «nell’interesse delle Sette Sorelle». Ieri anche Mannoia ha parlato di «interessi americani», ma non è stato in grado di approfondire. Il processo, d’altra parte, contiene in sè più d’una pista (un’altra si riferisce alla presunta scoperta di De Mauro del golpe Borghese che nell’estate del ‘70 era in preparazione), ma non sempre le ricerche sono risultate efficaci. Ci sono, tra le migliaia di carte, rivoli di indagine che, chissà per quale motivo, non sembra siano stati presi in considerazione. E’ il caso di un rapporto del questore di Palermo del 13 aprile del 1972, scritto - rivela il questore Bruno Contrada che allora lavorava alla squadra mobile di Palermo - sulla base di una fonte confidenziale trovata dal vicequestore Boris Giuliano, poi assassinato dalla mafia nel 1979. Giuliano aveva parlato con un impiegato del Tribunale civile di Palermo e da questi aveva appreso che De Mauro, accompagnato dal commercialista Nino Buttafuoco (l’uomo che entrerà pesantemente nelle indagini nel tentativo di depistarle), era stato nella cancelleria della «sezione Commerciale» in cerca di notizie sulle esattorie.
Già le famigerate esattorie dei cugini Nino e Ignazio Salvo. Il misterioso teste (E’ vivo? In questi 36 anni, è mai stato interrogato da qualche magistrato?) avrebbe confidato a Giuliano di aver poi saputo dal giornalista che questi era in cerca di prove «su una colossale frode in danno dell’Erario», soldi che servivano «per comprare protezioni a tutti i livelli e finanziare campagne elettorali». Se fosse vero, si tratterebbe di una sorta di colossale (70 miliardi del 1970) corruzione per finanziare la politica: una tangentopoli ante litteram. Ma il rapporto del questore va oltre, aggiungendo che Buttafuoco, in una sorta di ripensamento, nei giorni successivi si sarebbe mosso parecchio per impedire che De Mauro potesse utilizzare le notizie di cui era entrato in possesso. E cita, il rapporto, che proprio Buttafuoco - in un colloquio avuto col giornalista Roberto Ciuni - aveva manifestato preoccupazione «per aver confidato a De Mauro fatti riguardanti grosse evasioni fiscali o atti di corruttela nell’ambiente degli uffici tributari di Palermo».
Lo stesso Buttafuoco, subito dopo la scomparsa di De Mauro, si sarebbe precipitato a casa del giornalista per «offrire» alla moglie solidarietà ma per chiedere anche di essere informato dell’indirizzo assunto dalle indagini e soprattutto se fosse stato trovato qualche documento interessante. Un gioco pericoloso che gli costerà persino un periodo di detenzione, ma che si concluderà col proscioglimento.
Fonte: La Stampa

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