lunedì, ottobre 23, 2006

Sempre più mafia al nord

Un’asse Sicilia-Vicenza. Da una parte bande criminali, dall’altra appoggi logistici per indicare vittime da rapinare, luoghi e modalità. È quanto stanno cercando di approfondire i carabinieri che l’altra mattina hanno consegnato sei nuovi ordini di custodia agli indagati dell’operazione “Atlantide” con la quale, due settimane fa, hanno sventato un agguato ad un orafo di Trissino che sarebbe valso un quintale d’oro. I carabinieri del Ros hanno consegnato ai sei arrestati una nuova ordinanza di custodia in carcere con l’accusa di aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata al sequestro di persona a scopo di estorsione. L'altrieri, il tribunale del Riesame di Venezia aveva respinto la richiesta di scarcerazione avanzata dai legali del commando, il gruppo di fuoco bloccato all’alba del 7 ottobre a Montecchio Maggiore. I giudici avevano ritenuto che gli indizi fossero pesanti, che la banda potesse tornare a colpire e che fosse pericolosa, in quanto legata a clan mafiosi. I quattro siciliani che avevano cercato di rapire per compiere una maxirapina i fratelli Sebastiano e Nicola Bovo di Trissino, pertanto, non si muovono dalla cella. Assistiti dagli avv. Sonia Negro e Michele Vettore, Salvatore Greco, 44 anni, Nicola Liardo di 32, Rosario Riccioli di 33 e Luciano Iannuzzi, 38, erano stati catturati con l’accusa di ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale nei confronti dei carabinieri dei Ros di Padova e del reparto operativo di Vicenza. Ora si trovano sul groppone le nuove contestazioni, che riguardano anche Carmelo Barbieri, 47 anni, e Giuseppe Palermo, 39, arrestati subito dopo: per l’accusa, i mandanti dell’agguato, sventato dopo mesi di pedinamenti e intercettazioni dei carabinieri. Secondo la procura antimafia siciliana, che ora ha trasmesso gli atti ai colleghi di Venezia, Barbieri (soprannominato il professore), era uno dei pezzi grossi di Cosa nostra a Gela (rappresentante della mafia a Caltanissetta per conto dello storico capo Piddu Madonia), mentre Palermo, di professione gioielliere, aveva avuto un ruolo chiave prima per arrivare ai Bovo (responsabili della ditta del padre, la “Bovo Luigi” di via del Lavoro a Trissino), poi per metterli in contatto conosciuti nell’ambiente con un mediatore dell’Est che aveva cercato di attirare in trappola i vicentini, quindi per coordinare le operazioni criminali. La mattina nella quale i carabinieri, con il colonnello Zubani in testa, li ammanettarono con un blitz che spaventò i montecchiani, la gang doveva bloccare - simulando un posto di controllo con due auto rubate e le palette simili a quelle dell’Arma - i fratelli Bovo (presidiati da tempo, a loro insaputa fino all’ultimo, dai militari) che in Bmw stavano portando 25 chili d’oro nei paesi dell’Est. Quindi li avrebbero rapiti, costringendo i famigliari ad aprire il caveau per portare via il resto. Un colpo che avrebbe fatto fallire gli imprenditori trissinesi. «L’indagine - spiega uno degli investigatori - rappresenta un preoccupante segnale dell’interesse di Cosa nostra per i sequestri di persona a scopo di estorsione, che per le “regole” mafiose non possono essere compiuti in Sicilia per non attirare troppo le forze dell’ordine. Ora approfondiremo i possibili collegamenti fra la Sicilia e Vicenza, dove nel ’92 venne arrestato lo stesso Madonia». All’appello manca ancora il mediatore dell’Est. Ma quali sono gli altri appoggi, a più livelli, della mafia nella provincia berica?
Fonte: Giornale di Vicenza

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