sabato, gennaio 27, 2007

Il consenso dell'illegalità

«Mettersi a posto»: questa è l´espressione usata da commercianti e imprenditori che si accingono a pagare il pizzo. Più che la paura di un danno, effettivo o eventuale, minacciato esplicitamente o implicito, un peso preponderante, decisivo, ha una cultura sedimentata, ereditata dai nonni e dai padri, o rapidamente acquisita, che riconosce la signoria mafiosa come l´unico dato certo, fisiologico e normale, mentre l´autorità dello Stato è incerta, inaffidabile, in ogni caso non riconosciuta o solo formalmente accettata, quando proprio non se ne possa fare a meno. Così la fiscalità criminale viene abitualmente onorata, mentre quella statale si fa di tutto per aggirarla e non rispettarla. Ancor prima che Berlusconi chiamasse alla crociata antitasse, in nome del diritto all´evasione, a Palermo e altrove si accettava, con le buone o con le cattive, di versare il proprio contributo alle casse della mafia.
Mentre si praticava assiduamente e furbescamente l´evasione totale o parziale nei confronti di quelle istituzionali. Questo è il dato da cui bisogna partire, se si vuole affrontare seriamente il problema del pizzo e più in generale delle organizzazioni criminali di tipo mafioso: l´accettazione di un sistema che è insieme accumulazione, potere, codice culturale, consenso diffuso, prima che per paura per convenienza.
Nonostante il gran parlare di mafia e dintorni, soprattutto a ridosso delle mattanze replicate quotidianamente o periodicamente, prima di Cosa nostra, adesso delle camorre, non pare che questa idea di mafia sia convenientemente affermata. E anche i discorsi che da qualche tempo si fanno sulla "borghesia mafiosa", cioè su un sistema di rapporti che coinvolge soggetti della classe dominante, rischiano di portare acqua più che al mulino dell´analisi seria e conseguente a quello degli slogan e delle dichiarazioni davanti alle telecamere. Non si spiegano diversamente anche gli appelli all´unanimismo, recentemente rispolverati, che lasciano intendere che la mafia è solo quel migliaio di affiliati a Cosa nostra e dintorni, professionisti del crimine col kalashnikov, contro cui bisogna lottare tutti uniti, tutti insieme, continuando a coltivare colleganze con personaggi anche sotto processo o condannati. Senza dire che gli accenni alla «responsabilità politica», in mancanza di sanzioni effettive e cogenti, significano soltanto pestare acqua nel mortaio. Continua a imperversare un´ideologia ipergarantista, che ha cultori trasversali, da Forza Italia a Rifondazione.
Com´è noto, sul problema delle estorsioni negli ultimi anni qualcosa si è cercato di fare: c´è una legislazione, nata con il solito criterio del pronto soccorso e dell´emergenza, dopo l´assassinio di Libero Grassi, che bisognerebbe rivedere; sono nate, ma solo nell´Italia meridionale, associazioni, ma bisogna vedere quante di esse abbiano un ruolo reale o solo sulla carta. Negli ultimi anni a Palermo, in mancanza di un´associazione antiracket, è nato il comitato Addipizzo che ha svolto un ottimo lavoro per quanto riguarda la sensibilizzazione e la mobilitazione dei consumatori, ma tra i commercianti ha raccolto poche adesioni: un centinaio su circa 10 mila operatori, appena l´1 per cento. Le associazioni di categoria non sono andate e non vanno al di là di appelli inascoltati: anche gli iscritti sono tra i devoti del pizzo. Di fronte agli arresti di questi giorni, non servono a nulla i gridi di allarme e le manifestazioni di buone intenzioni. Occorre fondare una strategia. Tutti coloro che sono realmente interessati a porvi mano dovrebbero unire le poche forze per operare insieme.
Certo, al di là dell´impegno delle associazioni di categoria e di volenterosi, ci vorrebbe un impegno corale di istituzioni e "società civile". Ma il quadro non è certo esaltante. L´Università, tolti alcuni casi singoli, non fa ricerca, in compenso la facoltà di Lettere sponsorizza due volte l´anno, in occasione degli anniversari delle stragi di Capaci e via d´Amelio, messe cantate officiate da un personaggio che esibisce stimmate e parla con gli Ufo. Nelle scuole continuano a svolgersi iniziative in nome di una legalità astratta e formale, con esperti più o meno improvvisati. In previsione delle prossime elezioni comunali si consumano stancamente i riti delle primarie del centrosinistra, tra interviste con trombe e grancasse, seguite da precisazioni e smentite, bandierine rosse agitate più che altro per atto di presenza, giri per la città e incontri con personaggi dell´altra sponda, non si capisce con quale logica. Non pare che nessuno dei candidati abbia voglia di affrontare un tema di fondo: il ruolo dell´illegalità nell´economia, nella cultura, nella vita quotidiana della città, a cui si dovrebbe contrapporre una legalità sostanziosa e conveniente. Soprattutto per l´universo dei disoccupati, dei precari e dei superflessibili, che dovrebbero costituire l´asse portante di un blocco alternativo. Si preferisce parlar d´altro e raccogliere sogni. Niente di strano se la città esprima solo o soprattutto incubi.
Fonte: La Repubblica

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