domenica, gennaio 21, 2007

Miceli racconta

Dopo quindici anni un commerciante gelese che, per avere denunciato i suoi estortori ha dovuto lasciare la città, cambiare nome e vivere in una località segreta, ha raccontato la sua storia a un uditorio composto dagli studenti del Liceo classico "Eschilo". Nino Miceli, titolare della concessionaria di auto Lancia, nel suo primo contatto con la città che fu costretto precipitosamente ad abbandonare, è stato come un fiume in piena. Per quindici minuti e con grande passione, al telefono da una località segreta, ha raccontato ai giovani liceali la storia vera di un uomo che si è ribellato al pizzo «non perché aveva voglia di sentirsi un eroe, ma per difendere il diritto alla libera impresa e la dignità umana». La stessa storia che ha messo per iscritto in un libro uscito in questi giorni nelle edicole dal pirandelliano titolo Io, il fu Nino Miceli. Il libro è stato presentato ieri al Liceo da Renzo Caponetti, presidente dell'associazione antiracket di Gela ed amico di Nino Miceli. I due vivevano nello stesso palazzo e Caponetti restò amico di Miceli quando si sparse la voce nel 1990 che aveva denunciato gli estortori e perse gli amici e pian piano anche i clienti. Era il 1990. «Erano tempi bui a Gela - ha raccontato Nino Miceli agli studenti - c'era la guerra di mafia, cento morti ammazzati a Gela. Il clima era pesante. Non si usciva la sera. C'era paura. Nessuno denunciava e si subiva. Io decisi di non essere vittima di quella gentaglia che ti toglieva la dignità di uomo ed il diritto alla libera impresa. Il mio fu un gesto isolato e per questo tragico». Nino Miceli non ebbe la città al suo fianco, non i commercianti impauriti dall'omicidio nel 1992 di uno di loro, il profumiere Gaetano Giordano che si era ribellato al racket. «Mi aiutò un giovane tenente dei carabinieri Mario Mettifogo che oggi è colonnello ed anche il colonnello Umberto Pinotti. Ci vedevamo di nascosto dentro un'auto. Approntarono per me una protezione con un gruppo di carabinieri. Ancora oggi li chiamo, sono i miei amici». Dalla sua testimonianza scaturì il processo Bronx 2 che si concluse nel 1996 con la condanna di oltre 20 persone. Miceli andò in aula a testimoniare. Ma era solo. Con lui c'era Tano Grasso. Dopo quei giorni a Gela morì la speranza di una ribellione al racket e fallì il tentativo di tenere in vita un'associazione antiracket che si era timidamente tentato di creare. Miceli cambiò identità e vita, ma le leggi sui testimoni di giustizia non erano quelle di oggi. Erano considerati alla stregua dei pentiti. Quello di Miceli divenne un caso nazionale e contribuì nel 1999 alla nuova legge contro il racket. «Ma oggi non è così e se racconto la mia storia ai giovani è per testimoniare che denunciare è conveniente».
Fonte: La Sicilia

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