sabato, gennaio 27, 2007

Un esercito di imprenditori di Lo Piccolo

Il tesoro di Salvatore Lo Piccolo, il padrino più potente della città, ricercato da 23 anni, era custodito da una schiera di insospettabili imprenditori, che erano prestanome e riciclatori. Eppure, un tempo pagavano anche loro il pizzo. «Ritenendo di poter lavorare meglio si sono trasformati da vittime in carnefici»: così i pm Domenico Gozzo, Gaetano Paci e Annamaria Picozzi hanno voluto introdurre le mille pagine dell´atto d´accusa. Quegli imprenditori si sono prestati a costituire società di fatto con i mafiosi, «finendo persino per commettere estorsioni ai danni dei loro colleghi», spiegano i magistrati. Le cimici della squadra mobile hanno svelato molti segreti. Poi approfonditi dalla sezione Misure di prevenzione della questura, diretta da Sara Fascina.
Il tesoro era in 26 società, che operavano soprattutto nel settore edile. Con i conti bancari e gli immobili il sequestro ammonta a 16 milioni di euro. L´imprenditore Lorenzo Altadonna era il più attivo: i mafiosi di Carini gli avevano messo in mano moltissimi soldi per la realizzazione di un complesso turistico a Villagrazia, in contrada Predicatore. Il terreno di 160 mila metri quadrati risultava già disponibile, il progetto era pronto, soldi sarebbero arrivati anche da «Roberto l´africano». Secondo le indagini si tratta di Vito Roberto Palazzolo, il manager latitante in Sudafrica. Altadonna non aveva problemi a gestire grandi e piccoli investimenti, a disposizione aveva la ditta sua e della moglie, Pierina Fiorello. Poi, ancora, l´Azzurra costruzioni, la Edil Carini e la Pcn srl. Tutte sequestrate. L´ultima idea di Altadonna era di comprare capannoni alle aste fallimentari.
Naturalmente con i soldi di Lo Piccolo. Francesco Sparacio era specializzato nei trasporti. Era il vettore di riferimento dei supermercati Sisa. Adesso anche la sua ditta verrà gestita da un amministratore giudiziario, perché i magistrati hanno il sospetto che fosse un altro investimento del clan. Il padrino più autorevole, Vincenzo Pipitone, credeva molto nel settore. Entrava e usciva dalla Tnt come fosse di casa: «Vieni da me», gli diceva Gioacchino Sapienza, anche se non era il titolare dell´azienda. Ma Sapienza era una vera autorità con le sue quattro società. Però i padrini del mandamento di Lo Piccolo continuavano a preferire la tradizione: ecco perché erano stati reclutati altri prestanome per l´edilizia. Saverio Privitera aveva messo a disposizione la Oirevas costruzioni. Giovanni Cataldo aveva messo sul piatto degli investimenti mafiosi due società. Secondo la ricostruzione della Procura, sarebbe stato ricompensato a dovere.
Ma da qualche tempo, ormai, i mafiosi avevano cominciato a sentire puzza di indagini. E avevano diversificato gli investimenti per ripulire i capitali. Le indagini della polizia e le verifiche del nucleo speciale di polizia valutaria della Finanza hanno evidenziato un giro strano e vorticoso di transazioni fra società che si occupano di elettronica e informatica. Il gruppo di imprenditori che le gestivano sarebbero stati a completa disposizione della "famiglia" di Carini. Anche loro insospettabili: Giorgio Iaquinoto, con la Giellei Electro trading, che ha sedi a Castelvetrano, Ragusa e Marsala; Vincenzo Curulli, intestatario di due ditte; Michele Cardinale, con la Roma electro service. A Palermo i prestanome non sono mai mancati. Andrea Bruno, in carcere per mafia, faceva gestire la sua Salumeria Doc, in via Caduti sul lavoro, a Davide Pedalino, anche lui finito in manette per questa e un´altra intestazione fittizia (alcune quote della trattoria Quattro fari di viale Regione Siciliana 2645). Pure l´imprenditore Giuseppe Gelsomino sarebbe stato manager occulto dei mafiosi: per questo gli sono stati sequestrati il Giardino della frutta di via Aquileia e il centro Wind di viale Lazio. Le manette sono scattate per altri tre prestanome: Antonietta, Giorgio e Giuseppe Cuccia. I boss gli avrebbero affidato alcuni magazzini in viale Regione.
Fonte: La Repubblica

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