martedì, aprile 24, 2007

Grasso e la sua invidia...

«Cercata la gogna pubblica». Il pg di Torino: «In tv solo beatificazioni»
ROMA — L'attacco viene sferrato già nelle prime pagine del libro, quando il procuratore nazionale Piero Grasso affronta la «rissosità interna all'ambiente dell'antimafia, la volontà di esaltare i propri risultati a discapito di quelli ottenuti da altri». E spiega: «Cos'altro può portare autorevoli protagonisti della repressione a Cosa nostra a sostenere che la cattura di Bernardo Provenzano sia poca cosa, e che la vicenda sia stata utilizzata come una "colossale arma di distrazione di massa" per spostare l'attenzione dalla "vera lotta alla mafia", che non si capisce a questo punto quale sia?».
Non fa nomi, il dottor Grasso, che prima di trasferirsi a Roma ha guidato per sei anni, dal '99 al 2005, la Procura di Palermo succedendo a Gian Carlo Caselli. Ma i suoi riferimenti sono fin troppo espliciti, e si rivolgono proprio a quei magistrati definiti «caselliani» che durante la sua gestione si lamentavano di come lui governava l'ufficio.
Grasso li chiama in causa dalle pagine del libro scritto per Feltrinelli insieme al giornalista Francesco La Licata (con prefazione di Emanuele Macaluso) intitolato «Pizzini, veleni e cicoria, la mafia prima e dopo Provenzano». E il caso vuole che il volume sia arrivato in libreria pochi giorni dopo che su l'Unità il procuratore aggiunto palermitano Roberto Scarpinato aveva puntato il dito contro «la luce accecante dei media volti a rappresentare i Provenzano di oggi e quelli di domani come icone totalizzanti della mafia». Difficile non individuare i bersagli del procuratore nazionale, dunque. Tanto più che nell'anticipazione del libro fatta dalla Stampa, l'altro giorno, sopra il titolo «Processi-spettacolo inutili contro la mafia - Grasso: fuori dalla Costituzione i giudici che cercano la gogna pubblica», campeggiava una grande foto di un'udienza del processo a Giulio Andreotti. Istruito ai tempi di Caselli e condotto in aula, fra gli altri, proprio da Scarpinato.
Due giorni dopo ha risposto lo stesso Caselli, un'intera pagina del quotidiano torinese per dire: «Processi gogna? In questi anni ho visto solo beatificazioni in tv». Altro chiaro riferimento al caso Andreotti, laddove peraltro, come ricorda sempre il magistrato, il senatore a vita non è stato assolto per i suoi rapporti con la mafia fino al 1980, bensì è stato dichiarato prescritto «il reato commesso». Infine Caselli ricorda che se qualcuno è stato aggredito in questi anni sono lui (estromesso dalla corsa alla Superprocura con un decreto- legge) e i colleghi che «hanno avuto il "torto" di lavorare con me». La disputa Grasso-Caselli, e i conseguenti contrasti tra «grassiani» e «caselliani» che continuano a lavorare a Palermo mentre i due «capifila» non ci sono più, va però oltre il processo Andreotti.
Perché nel suo libro il procuratore nazionale se la prende con gli attacchi rivolti a lui durante la stagione palermitana. Parla di «calunnie di quelli che mi collocano tra i "magistrati furbi" che strillano sui giornali contro mafia e politica, ma non le perseguono a dovere nella prassi giudiziaria». E poi denuncia l'«aggressione mediatica» — per esempio sul processo Cuffaro, rinviato a giudizio per favoreggiamento e non per concorso in associazione mafiosa — che servirebbe a dimostrare che la sua Procura avrebbe «scelto il basso profilo per favorire un potente e per non "dare fastidio" alla politica». L'atteggiamento dell'accusa nel processo Cuffaro è ancora oggi materia di divisione nella Procura ora retta da Francesco Messineo, nominato dal Csm al posto del procuratore aggiunto Pignatone sponsorizzato da Grasso.
Ma il nuovo corso non sembra aver frenato i veleni del palazzo di giustizia, non a caso evocati dal titolo del libro del superprocuratore. Al quale uno dei pubblici ministeri più vicini a Caselli e sostenitore dell'accusa nel processo Dell'Utri, Antonio Ingroia, non vuole rispondere entrando nel merito delle singole questioni, ma si dice d'accordo con le precisazioni di Caselli e aggiunge: «Durante la gestione Grasso c'è stato un clima difficile segnato da spaccature interne che non c'erano prima e non ci sono dopo. Spaccature accompagnate da una fortissima scelta di centralizzazione di processi importanti nelle mani di pochi magistrati e dalla mancanza di circolazione di notizie all'interno dell'ufficio. Ora che si sta ripristinando un clima positivo e di collaborazione le polemiche non servono a nessuno, meglio guardare avanti».
Fonte: Corriere della sera

Nessun commento: