mercoledì, aprile 18, 2007

Grasso e le sue solite ovvietà...

Aula magna stracolma di studenti ieri pomeriggio alla facoltà di Giurisprudenza di via San Faustino per la presenza a Brescia di Pietro Grasso, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia dal 2005. Una presenza che per il suo carisma ha richiamato molti studenti. Invitato dalla lista «Studenti democratici» e dall’associazione Libera Pietro Grasso, accolto da un lunghissimo applauso, ha portato la sua lunga esperienza nella lotta alla mafia. Un lungo racconto di ricordi e talvolta aneddoti a partire da metà degli anni '80, quando ricoprì l’incarico di giudice a latere del primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Poi gli anni successivi, fino allo scorso anno, l’11 aprile 2006, il giorno dopo le elezioni politiche, quando contribuì all’arresto di Bernardo Provenzano, latitante da 43 anni.
Grasso ha ricordato l’atmosfera di violenza della Sicilia, la sensazione di impotenza a volte addirittura palpabile, la lunga catena di omicidi che ci fu a partire dal 1979 per un lungo periodo, «un’ecatombe di persone uccise» solo perché servivano lo Stato. Un racconto nel quale si evidenzia «la percezione di privazione della libertà». Ma la mafia non è solo omicidi, anzi negli anni ha sviluppato una capacità di nascondersi per «ristrutturarsi e continuare a gestire tranquillamente i propri affari».
Il procuratore si dice preoccupato quando sente dire che «la mafia non fa più notizia». Anzi, per certi versi, è proprio quando non ci sono scontri e faide interne che forse si ritrova la massima «efficienza» del fenomeno mafioso. Una mafia che costruisce consenso territoriale e che cerca di imporre i suoi miti anche deformando il significato delle parole appropriandosi di termini positivi quali famiglia, amicizia («L’amico degli amici») e rispetto.
Fenomeno diffuso e articolato, la mafia inquina la società in tutti i suoi aspetti, nell’economia e nelle relazioni. «Per definizione la mafia è violenza, corruzione, collusione, compromesso, contiguità - ha detto a Bresciaoggi prima dell’incontro con gli studenti il procuratore antimafia -: è in qualche modo il paradigma dell’illegalità. Ai giovani è più facile parlare di mafia attraverso esempi e storie che magari lasciano il segno piuttosto che tante vuote parole». In questo senso parlare di mafia significa anche aprire riflessioni più ampie sull’educazione alla legalità.
Profondamente radicata al Sud, la mafia siciliana e le altre organizzazioni della criminalità organizzata italiana hanno radici territoriali ben precise ma poi espandono la loro sfera di intervento in altre regioni italiane. E Brescia non ne è immune, come aveva d’altronde dimostrato anche il triplice omicidio della scorsa estate a Urago Mella. «Qui c’è un’ottima direzione distrettuale antimafia - ha sottolineato Pietro Grasso -. Sappiamo che la mafia ha una terra di origine ma anche territori nei quali investire i profitti illeciti realizzati. Brescia, come d’altronde il Nord Italia in genere, è senz’altro una zona dove i capitali investiti danno molto reddito e quindi è facilmente ipotizzabile che anche in questa provincia ci siano infiltrazioni, difficili però da scoprire perché mimetizzate come attività assolutamente legali».
Fonte: Brescia oggi

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