mercoledì, maggio 30, 2007

Indagato Provenzano jr

PALERMO - Angelo Provenzano, figlio maggiore del boss mafioso Bernardo Provenzano, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Dda di Palermo per il reato di estorsione aggravata. La notizia, che in un primo momento era stata smentita dalla Procura, ha trovato conferma in ambienti giudiziari. Provenzano junior, secondo la Procura, avrebbe 'protetto' il fratello del collaboratore di giustizia Michelangelo Camarda, interessandosi per evitare il versamento del pizzo al fratello del pentito. Il ruolo di 'mediatore' di Provenzano è venuto fuori nel corso di una intercettazione ambientale registrata all'interno di un box tra il boss mafioso Antonino Rotolo e Giovanni Nicchi, latitante dal giungo 2006.Tutto questo emergerebbe nell'ambito dell'operazione Antartide dei carabinieri, che stamani ha portato all'arresto di otto persone con l'accusa di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni e al traffico di stupefacenti. Nicchi racconta a Rotolo di avere saputo dell'interessamento di Angelo Provenzano per evitare che l'imprenditore pagasse il pizzo alle famiglie mafiose di Porta nuova e Pagliarelli. I magistrati hanno scoperto il giro di estorsioni grazie anche alla collaborazione dei pentiti Emanuele Andronico, Giuseppe Calcagno e Francesco Famoso, i quali hanno parlato, oltre che delle dinamiche interne alle famiglie dei Pagliarelli e di Porta nuova, anche delle vittime del pizzo.
30/05/2007
Fonte: La Sicilia

lunedì, maggio 28, 2007

Amato spiazzato da "un piccolo capo populista"

PALERMO — Gli studenti invocano legalità, pulizia all'interno dei partiti. E lo fanno con il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, nel giorno in cui a Palermo si ricordano le vittime della strage di Capaci. Il dibattito nell'aula bunker dell'Ucciardone registra anche un vivace scambio di opinioni tra il responsabile del Viminale e il presidente della Consulta degli studenti di Palermo, Francesco Cipriano, 19 anni. Il giovane ricorda i politici condannati definitivamente che siedono ancora in Parlamento: «Tutto ciò - dice - non può essere un segno di legalità». E rivolgendosi al ministro sollecita un impegno dei politici contro la mafia «con il cuore, lo stomaco e soprattutto le palle». Il discorso di Francesco viene accolto con un’ovazione dalle centinaia di studenti che affollano l'aula dove si celebrò il maxiprocesso. Il giovane fa anche un elogio di internet, condiviso da Amato che invita però a «verificare le notizie» trovate sul web e a «usare di più i libri» . «Se non ci fosse, se non avessimo il blog di Beppe Grillo - sostiene lo studente - non sapremmo certe cose, nè che in Parlamento siedono 25 condannati». Amato non apprezza nè il tono nè il contenuto dell' intervento di Francesco, sei «un piccolo capo populista» dice il ministro che spiega: «la democrazia ha bisogno di passione, ma anche di ragione». «Hai difeso Beppe Grillo - aggiunge - e i Grillo servono al Paese ma non è detto che siano la bocca della verità». Poi riferendosi ai 25 condannati presenti in Parlamento, Amato argomenta:«Bisogna distinguere tra condannati e condannati, alcuni dei quali possono esserlo per reati minori e compatibili con la legge una volta che la pena è stata scontata con una piena riabilitazione. Una volta che ciò che è avvenuto è inammissibile che vengano esiliati dalla vita pubblica. Se non fai questa distinzione diventi un giustizialista ingiusto». Francesco nel suo discorso invita anche Amato a tornare a Roma e dire ai propri colleghi che a Palermo c'è la mafia «e deve essere combattuta con leggi forti». Il responsabile del Viminale replica: «Lo sappiamo, perchè la contrastiamo da anni e facciamo parte di uno schieramento al quale la battaglia antimafia deve molto. Io ti potrei dire di ricordarlo piuttosto a quelli di Palermo: tu hai anche qui delle istituzioni. Ricordalo anche a loro».
Fonte: Il Tempo

Processo "Clessidra", tre ergastoli

Tre ergastoli al processo «Clessidra» che ha seguito la via del rito ordinario. Il carcere a vita è stato deciso dalla corte d'assise per Alfio Rino Lo Castro, Antonino Pulvirenti e Franco Stimoli, ritenuti rispettivamente responsabili dell'omicidio di Sebastiano Cambria, di quello di Alfio Furnari e di quelli di Carmelo Buda, Salvatore D'Aquino e Alfio Furnari. Il processo ha analizzato una serie omicidi che, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio di Novanta furono decisi dal gruppo del Malpassotu fortemente intenzionato a vendicare anche il minimo oltraggio, uno «stile» tipico del clan Pulvirenti in quegli anni. Oltre ai tre ergastoli la corte d'assise ha condannato Antonino Licciardello a dodici anni e sei mesi di reclusione, Salvatore Licciardello a dodici anni e sei mesi, Maurizio Longo a dodici anni e otto mesi, Francesco Maccarrone a tredici anni e Orazio Pino a dodici anni. I due Licciardello, Longo e Pino, sono collaboratori di giustizia ed hanno potuto ususfruire dello sconto di pena previsto in questi casi. Assolti, invece, Giuseppe Pugliarelli, Pietro Puglisi, Alfio Licciardello, Salvatore Licciardello, Agatino Bonaccorsi e Francesco Spampinato. Nel collegio difensivo c'erano gli avvocati Mario Brancato, Lucia D'Anna, Francesco Giammona, Michele Ragonese, Salvatore Mineo, Salvatore Ragusa, Anna Scuderi. La pubblica accusa, invece, è stata sostenuta dai sostituti procuratori Francesco Testa ed Allegra Migliorini. Tra gli omicidi che si ricordano in città, c'è sicuramente quello di Gaetano Porzio (ucciso l'8 gennaio del'91, vicino l'ospedale Santa Marta). Fu l'inizio di una delle più sanguinosa faide di mafia a Catania. Solo per citare poi gli omicidi che sono stati puniti con l'ergastolo, quello di Sebastiano Cambria (primo giugno '90, a Palagonia) venne eseguito perché la vittima era sospettata di tradimento dal «Malpassotu» e di aver intascato i proventi di alcune rapine. Carmelo Buda, ucciso il 21 gennaio 1989, a Mascalucia aveva cercato, invece, di far riappacificare i Laudani e i Cappello, in guerra tra loro ma avversari del Malpassotu, Salvatore D'Aquino il 29 maggio '86, a Pedara, rifiutò di restituire un'auto rubata a uomini del «Malpassotu», mentre Alfio Furnari il 20 gennaio '87, a Paternò, non aveva pagato una partita di droga al Malpassotu.
Fonte: La Sicilia

Anche la sorella libera

Anche la sorella del boss latitante Giuseppe Falsone ritenuto il capo provinciale di Cosa nostra ad Agrigento Carmela, 42 anni, è tornata in libertà. La donna, ha terminato di scontare la pena di quattro anni di reclusione che i magistrati gli avevano inflitto per favoreggiamento aggravato. In libertà nei giorni scorsi era tornato anche Calogero Falsone altro fratello del boss agrigentino. Carmela Falsone è assistita dall'avvocato Lillo Fiorello. Maria Carmela Falsone è ritenuta, dai giudici palermitani, colpevole per aver ottenuto dal fratello Giuseppe l'attribuzione fittizia della titolarità delle partecipazioni alla società «Fratelli Falsone snc», e del relativo complesso aziendale al fine di eludere le disposizione in materia e con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa Cosa nostra. Maria Carmela Falsone era stata arrestata il 13 luglio del 2004 nell'ambito di un'operazione condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Agrigento mirata a scardinare il gruppo che sta favorendo la latitanza del campobellese, condannato all'ergastolo per alcuni omicidi di mafia.
Fonte: La Sicilia

Dopo 37 anni...

PALERMO - A 37 anni e mezzo dai fatti, si è aperto questa mattina davanti alla terza sezione della Corte d'Assise di Palermo il processo per la strage mafiosa di viale Lazio in cui morirono 5 persone e altre 7 rimasero ferite. Imputati sono Totò Riina e Bernardo Provenzano, unici superstiti di un gruppo che tra killer e mandanti contava una ventina di persone. Provenzano, che era collegato in videoconferenza dal carcere di Novara è accusato di essere non colui che decise ma uno degli esecutori materiali della strage e anzi, secondo il pentito Gaetano Grado, sarebbe stato proprio Provenzano, sparando avventatamente, a consentire alle vittime designate di reagire e di uccidere alcuni degli assalitori.
Obiettivo del raid negli uffici dell'impresa Moncada di viale Lazio 168 a Palermo, il 10 dicembre del 1969, era il boss Michele Cavataio, inviso ai clan palermitani perché cercava di estendere il proprio potere sulle cosce dell'intera città. Totò Riina sarebbe stato invece uno dei mandanti. Nella spedizione punitiva rimase ucciso Calogero Bagarella, fratello di Leoluca e cognato di Riina, colpito a morte dalla pistola di Michele Cavataio. Nell'udienza di oggi il pubblico ministero Michele Prestipino ha esposto i fatti della causa, e sono state ammesse come parti civili le famiglie di due delle vittime innocenti della strage (entrambi operai della ditta Moncada) e la Provincia regionale di Palermo. Il processo è stato poi aggiornato al 5 luglio.
28/05/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, maggio 24, 2007

Sentenza per Provenzano

Palermo - Nel giorno dedicato alla memoria di Giovanni Falcone, piove una nuova condanna all'ergastolo su Bernardo Provenzano. A inflggerlo la Corte di Assise di Appello di Palermo a conclusione del processo "Tempesta" nei confronti di 33 boss e gregari di Cosa Nostra per una serie di omicidi avvenuti negli anni '70 e '80. La massima a Provenzano si lega alle sue responsabilita' come mandante della strage di via Scobar, dove il 13 giugno 1983 furono massacrati il capitano dei carabinieri di Monreale Mario D'Aleo e altri militari. Per questo eccidio e' stato invece assolto Pippo Calo', il 'cassiere' della mafia, che pero' si e' visto confermare l'ergastolo per altri omicidi. La sentenza e' stata emessa oggi dopo due giorni di camera di consiglio nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli, e ha condannato altri 'padrini' di spicco come Pietro Aglieri, Raffaele Galatolo, Giuseppe Graviano, Carlo Greco, Antonino Porcelli, Salvatore Madonia, Giuseppe Lucchese. Era invece uscito dal processo per morte Francesco Madonia, boss di Resuttana, deceduto in carcere nei mesi scorsi. I giudici hanno inoltre irrogato pene detentive di poco inferiori al secolo di carcere complessivamente per altri imputati. Venti le assoluzioni, e tra gli scagionati ci sono personaggi storici della mafia palermitana e della provincia quali Nunzio Milano, Benedetto Spera, Giuseppe Farinella. La pena e' stata ridotta a Filippo Graviano, che dovra' scontare 25 anni e 6 mesi. La prima sentenza del processo "Tempesta" risale all'11 luglio 2001, la seconda al 16 novembre del 2001. In secondo grado i giudizi erano stati unificati e c'era stata un'unica decisione della Corte d'assise d'appello, il 20 novembre 2003, poi parzialmente annullata dalla Cassazione il 20 aprile 2005. In quell'occasione furono confermati 28 ergastoli e annullate 40 condanne. Quello conclusosi oggi era il 'giudizio di rinvio' dopo la sentenza della Suprema Corte.
Fonte: agionline

Il commento di Rita

I giovani faranno meglio di noi. Così Rita Borsellino, leader dell'Unione all'Assemblea regionale siciliana, partecipando alle celebrazioni in ricordo di Falcone, della moglie e dei tre agenti di scorta uccisi dalla mafia 15 anni fa. A Palermo la nave della legalità ha sbarcato 1300 studenti giunti da tutta Italia. Per il presidente della Repubblica Napolitano la battaglia contro Cosa Nostra va ripresa e sviluppata.
Fonte: audioonline

Anniversario Falcone

PALERMO - Almeno 2.500 studenti, siciliani e delle altre regioni d'Italia giunti a bordo della "Nave della legalita'", si sono messi in corteo lungo via Francesco Crispi che unisce il porto di Palermo all'aula bunker del carcere Ucciardone, dove si è tenuta la manifestazione principale organizzata dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e dal ministero della Pubblica Istruzione nel giorno del 15esimo anniversario della strage di Capaci.
Ad aprire il lungo serpentone lo striscione dell'istituto Duca degli Abruzzi, il gonfalone del Comune Occimiano (Alessandria), e il cartellone della scuola media Giovanni e Francesca Falcone di Roma. Nell'aula bunker, luogo simbolo dell'attacco dello Stato alla mafia con il "maxiprocesso", discuteranno di lotta a Cosa nostra ed educazione alla legalita' insieme al presidente del Senato Franco Marini, al ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni e al procratore nazionale Antimafia Pietro Grasso. Qui Fioroni presentera' i primi risultati del lavoro del Comitato nazionale "Scuola e legalita'". Nel frattempo altre centinaia di studenti e docenti, accompagnati dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo e da Manfredi Borsellino, sono andati a Corleone sui luoghi dell'arresto di Bernardo Provenzano. Sulla strada che porta al rifugio del boss "recentemente ribattizzata via 11 Aprile 2006, cattura di Bernardo Provenzano - mafioso, saranno stese le "lenzuuola della legalita'" realizzate dalle scuole, mentre per le vie del paese le scuole corleonesi organizzeranno una "festa della legalita'" e i ragazzi saranno raggiunti dal ministro Fioroni e da Maria Falcone. L'appuntamento per tutti è alle 16 all'Ucciardone per partecipare al corteo che avra' come meta l'"Albero Falcone", in via Notarbartolo, di fronte all'abitazione del magistrato. Alle 17,58, il momento della strage, si osservera' il silenzio e il raccoglimento in memoria delle vittime. Infine alle 21, a piazza Politeama, il concerto gratuito, "Mille note contro la mafia" al quale parteciparenno tra gli altri Carmen Consoli e Daniele Silvestri
23/05/2007
Fonte: La Sicilia

Un po' di dati

Incontri nelle scuole, passeggiate della legalità a Corleone, conferenze presso l’aula bunker di Palermo. Queste alcune delle tantissime iniziative che in Sicilia, fanno da sfondo ai giorni della commemorazione della strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Ma cosa è cambiato in Italia, ed in Sicilia, da quel tragico 23 maggio del 1992, ma anche dall’altrettanto tragico 19 luglio dello stesso anno, in cui morirono’ il giudice Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cusina e Claudio Traina? Tutto ed al tempo stesso niente, potremmo dire, perché da più parti l’allarme che viene lanciato su Cosa Nostra è che dopo gli arresti dei boss storici, la mafia si sta riorganizzando e reinfiltrando nelle strutture dello Stato. Una mafia silente che privilegia le alleanze pacifiche con le famiglie rivali e che non disdegna l’ingresso nella aree di potere delle pubbliche amministrazioni locali. Lo ha sostenuto in un’audizione alla Commissione Affari Costituzionali anche il Prefetto di Palermo, Giosuè Marino, ma lo sostiene anche la Dia in un dettagliato rapporto sull’azione investigativa svolta per colpire le organizzazioni criminali simili a Cosa Nostra. Secondo il rapporto però non si può escludere che la mafia, specie dopo l’arresto del boss Provenzano possa decidere una nuova strategia di emersione attraverso azioni violente. L’assenza dei capi storici, inoltre, non ha impedito a Cosa Nostra di riorganizzarsi facendo andare avanti le nuove leve appartenenti a famiglie di storica tradizione mafiosa. E’ probabile, inoltre, che molti boss dopo la detenzione, ritornino a prendere il loro posto a capo della gerarchia mafiosa del territorio di competenza. Ma quali le aree di interesse della mafia? Messina, secondo la Dia, è il capoluogo siciliano occupato dai mafiosi che lo usano come crocevia per il traffico di droga. Nella Sicilia Centrale, invece, domina una mafia interessata al controllo degli appalti pubblici, ma anche al racket delle estorsioni. Anche la provincia di Enna sarebbe nel mirino dei mafiosi per via della realizzazione di una importante opera pubblica, il parco di Regalbuto che dovrebbe costare intorno ai 600 milioni di euro. Come non dimenticare Catania, dove operano ancora oggi i clan affiliati ai Santapaola? E Ragusa? La florida provincia iblea vede oggi attivi i clan di Cosa Nostra palermitana. Come si può notare c’è ancora molto da fare, perché gli affari della mafia nel pubblico e nel privato, continuano ancora oggi a prosperare, assieme ai tradizionali contatti con la mafia americana. Da segnalare anche che nell’ultimo semestre del 2006 i beni confiscati a Cosa Nostra, sempre secondo il rapporto Dia, sono inferiori a quelli confiscati alla Camorra: oltre 4 milioni di euro contro gli otto milioni di quest’ultima, eppure La Dia ha avanzato ben 11 proposte di misure di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti di 11 soggetti imputabili a Cosa Nostra e 7 alla Camorra. Sul fronte dei beni sequestrati: oltre 277 milioni di euro sono stati sottratti alla mafia siciliana contro gli oltre 112 milioni sottratti ai camorristi. Inquietante anche il condizionamento che la mafia esercita sulle pubbliche amministrazioni locali. In Sicilia dal 1991 ad oggi sono stati emanati 49 provvedimenti di scioglimento di consigli comunali ( su 171 in tutta Italia) e nessuno dei ricorsi presentati contro questi scioglimenti è mai stato accolto. Non possiamo dimenticare nemmeno l’appello lanciato dall’associazione antimafia “ Gruppo 23 maggio” che nel proprio sito web rivela:” a Capaci manca di tutto, il lavoro, la biblioteca, il teatro, il cinema, i luoghi di ritrovo per i giovani”. Cosa è cambiato, dunque, da quel 23 maggio del 1992? La risposta diamocela da soli!
Fonte: affari italiani

Torna in libertà per un cavillo

Palermo - Torna in liberta', dopo l'annullamento della sentenza per un cavillo, Pietro Lo Iacono, indicato come capomafia di Bagheria (Palermo) e accusato di associazione mafiosa. La scarcerazione e' stata disposta dalla quarta sezione della Corte di appello di Palermo, presieduta da Rosario Luzio, che ha accolto l'istanza degli avvocati Sergio Monaco e Michele De Stefani. Gli stessi giudici una settimana fa avevano dichiarato la nullita' della sentenza di primo grado (condanna a 13 anni). L'annullamento della decisione e' legato alla mancata "traduzione" in aula di Lo Iacono per un'udienza del processo celebrato in Tribunale.
Fonte: agi online

martedì, maggio 22, 2007

Forse un barlume di giustizia......

PALERMO - Il giudice per le indagini preliminari, Fabio Licata, ha accolto la richiesta della procura di Palermo di riapertura dell'inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti del Presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro. Il provvedimento è stato trasmesso al procuratore Francesco Messineo. Il governatore è già sotto processo davanti ai giudici del tribunale di Palermo per favoreggiamento aggravato nei confronti di Cosa Nostra e rivelazione di segreto d'ufficio.
Si tratta di una nuova indagine che prende spunto dall'archiviazione disposta due anni fa dal gip che è stata adesso ripresa dai pm della Direzione distrettuale antimafia. L'inchiesta si basa su un paio di intercettazioni ambientali fra boss in cui si farebbe riferimento a Cuffaro e a dichiarazioni di collaboratori di giustizia, fra cui l'agrigentino Maurizio Di Gati. Il provvedimento del gip Fabio Licata racchiude anche una lunga motivazione che è stata inoltrata alla procura. Dopo il provvedimento di archiviazione emesso due anni fa, il giudice ha adesso autorizzato con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dall'esigenza di nuove investigazioni. A coordinare l'inchiesta sono i procuratori aggiunti Giuseppe Pignatone e Alfredo Morvillo. La decisione di riaprire l'inchiesta è stata adottata nei mesi scorsi al termine di un dibattito interno alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, dopo che uno dei pm del processo alle "talpe della Dda", Nino Di Matteo, aveva chiesto di contestare già nel dibattimento in corso in cui è imputato Cuffaro, l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. A causa del dissenso degli altri tre pm del processo, l'aggiunto Pignatone e i sostituti Michele Prestipino e Maurizio De Lucia, la questione è stata rimessa al procuratore che ha deciso di chiedere l'apertura di un nuovo fascicolo. Una parte delle nuove accuse a Cuffaro, comunque, è stata già riversata nel processo in corso al Governatore che ha sempre respinto ogni accusa. "Ulteriori indagini – ha commentato il presidente Cuffaro - non potranno che confermare la mia totale estraneità alla mafia. La notizia della riapertura delle indagini nei miei confronti, che peraltro non si sono mai fermate in questi anni, non mi turba perchè più accertamenti verranno effettuati su di me e maggiore sarà la consapevolezza che io la mafia l'ho sempre combattuta con i miei comportamenti, con atti concreti e provvedimenti tesi a contrastarla in tutte le sue forme". "La decisione assunta dal Gip, peraltro – ha aggiunto Cuffaro - è un atto dovuto. Chiedo solo che l'accertamento della verità avvenga nel minor tempo possibile in modo che i siciliani possano rendersi conto che al presidente della regione che hanno scelto la mafia fa 'schifò, ed io possa avere la serenità per continuare a svolgere il mio lavoro in favore della Sicilia".
22/05/2007
Fonte: La Sicilia

Cronista minacciato

PALERMO - Il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Palermo ha deciso di assegnare un servizio di tutela al cronista di giudiziaria dell'Ansa Lirio Abbate, che nei giorni scorsi è stato oggetto di intimidazioni di stampo mafioso e oggetto di segnali preoccupanti. La Dda di Palermo, che coordina le indagini condotte dalla squadra mobile, sulla vicenda mantiene uno stretto riserbo. Abbate ha recentemente pubblicato con il collega dell'Espresso Peter Gomez, il libro "I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento".
Il gruppo siciliano dell'Unci-Unione nazionale cronisti italiani, ha espresso solidarietà a Lirio Abbate, destinatario di minacce considerate "serie e preoccupanti" dagli inquirenti. L'Unci Sicilia auspica che l'allarme "possa al piu' presto rientrare e che il collega Abbate torni a lavorare in condizioni di normalita'".
22/05/2007
Fonte: La Sicilia

Fabbrica d'armi sequestrata

PALERMO - La polizia ha individuato a Palermo una fabbrica di armi e un gruppo criminale che avrebbe prodotto e venduto pistole. Gli agenti hanno anche arrestato quattro persone fra cui tre pregiudicati ed un incensurato. L'operazione coordinata dalla Questura di Palermo, guidata da Giuseppe Caruso, ha permesso di individuare un magazzino in cui vi era un vero e proprio deposito clandestino di armi modificate.
Gli agenti hanno rinvenuto decine di pistole giocattolo modificate e pronte all'uso (semi automatiche e revolver) e circa 500 munizioni di vario calibro, due silenziatori prodotti artigianalmente, una quindicina di canne da fuoco da installare all'interno della struttura delle armi giocattolo (per renderle capaci di sparare proiettili veri) ed una serie di frese, strumentazioni ed attrezzi per la lavorazione del metallo al fine di creare autentiche armi da fuoco: una vera e propria fabbrica di pistole. Gli investigatori sospettano che le armi sequestrate abbiano sparato negli ultimi omicidi di mafia.
22/05/2007
Fonte: La Sicilia

Comprato trattore a Corleone

Firenze - La campagna di raccolta fondi per la cooperativa siciliana 'Lavoro e non solo' della Sinistra Giovanile Toscana ha centrato il suo obiettivo. Da domani, sui terreni confiscati alla mafia a Corleone e Monreale e coltivati oggi dalla cooperativa, sara' al lavoro il nuovo trattore acquistato con i fondi messi insieme durante la campagna dei giovani diessini "Let's go". La cooperativa guidata da Calogero Parisi, che ha subito un attentato nel vigneto a Monreale una settimana fa, avra' uno strumento in piu' per continuare il proprio lavoro. I giovani dei DS dedicheranno questo trattore a Pio La Torre, il parlamentare del Pci brutalmente ucciso 25 anni fa, il 30 aprile 1982. Il primo bilancio della campagna "Let's go", che prosegue con altre iniziative dedicate alla legalita', e' stato presentato questa mattina dal segretario della Sinistra giovanile toscana, Patrizio Mecacci, durante una conferenza stampa con Rita Borsellino, Calogero Parisi e il segretario dei DS toscani, Andrea Manciulli. I figli di Pio La Torre, assenti per motivi di lavoro, hanno inviato un messaggio. "Quando la politica genera atti concreti si assiste a risultati straordinari come questo - ha detto Patrizio Mecacci -. In soli tre mesi siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo. Continueremo per tutta la stagione delle Feste dell'Unita' con le nostre iniziative, a partire dalla Festa nazionale della Sinistra Giovanile che si terra' in Toscana, a Livorno, dal 5 al 22 luglio". I contributi per l'acquisto del trattore sono stati raccolti durante la campagna di dieci tappe, tra iniziative, cene e feste di sottoscrizione, iniziata il 23 febbraio a Settimello (Calenzano), con l'appoggio dell'associazionismo regionale e locale che si e' mobilitato durante tutte le tappe per aggiungere ai fondi raccolti propri contributi. In questi tre mesi in Toscana, ad appoggiare la campagna della Sinistra giovanile, sono arrivati i maggiori esponenti del movimento antimafia, da Rita Borsellino a Pier Luigi Vigna, dal giudice Soresina a Pietro Grasso. "Siamo orgogliosi di questa mobilitazione dei ragazzi del nostro partito - ha detto Andrea Manciulli - che dimostra come il Partito Democratico possa avere un futuro con giovani generazioni fortemente impegnate su temi e valori come quelli della legalita' e della solidarieta'. Su queste basi dobbiamo edificare un partito capace di rilegittimare la politica e di dare un senso per le generazioni future". Al lavoro, a fianco del trattore, tra qualche settimana, arriveranno a Corleone 340 giovani prevalentemente toscani, che hanno aderito al progetto "LiberArci dalle spine", che spenderanno le loro vacanze estive nei campi di lavoro organizzati dalla cooperativa "Lavoro e non solo" e dall'Arci con Libera, che gia' da tre anni vedono una forte risposta dei giovani toscani.
Fonte: agi online

Camera di consiglio per il processo "Tempesta"

Palermo - E' iniziata nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli la camera di consiglio del processo "Tempesta" in corso davanti alla terza sezione della Corte d'assise d'apppello di Palermo. Fra i 33 imputati ci sono anche Toto' Riina e Bernardo Porovenzano, e tutti i componenti della 'cupola' di Cosa nostra. Al centro del dibattimento una serie di omicidi avvenuti negli anni '70 e '80. Una parte del processo e' gia' stata conclusa con una sentenza divenuta definitiva, ma la Cassazione ha annullato un troncone del processo rimandandolo in assise d'appello. La sentenza e' attesa tra mercoledi' e giovedi'.
Fonte: agi online

domenica, maggio 20, 2007

Manifestazione a Corleone

L'Arci di Gela aderisce all'appello nazionale lanciato dall'Associazione, Libera e Lagacoop, partecipando alla manifestazione che si svolgerà a Corleone domenica 20 maggio alle ore 11.00, per sostenere la Cooperativa sociale "Lavoro e non solo". Nel corso dell'iniziativa sarà espressa solidarietà alla Cooperativa che ha subito un gesto intimidatorio.
La settimana scorsa sono stati danneggiati i vigneti di contrada Pietralunga, che erano stati piantati nei pressi di Morreale in uno dei terreni confiscati alla mafia. Numerosi i campi di lavoro promossi sul posto, il luogo è nato dall'impegno della Carovana antimafia e ha dato lavoro a numerosi soggetti svantaggiati, commercializzando prodotti con il noto marchio "Libera Terra".
Fonte: La Sicilia

Maxi processo a Enna

Dedicata all'ammissione di testi e prove l'udienza nel maxi processo, in corso nel Tribunale ennese, per associazione per delinquere finalizzata alle estorsioni nel quale sono imputate 13 persone. Tra queste i principali esponenti della criminalità organizzata ennese, catanese e nissena. Il pm Roberto Condorelli ha chiesto l'ammissione delle testimonianze dei pentiti Angelo Leonardo, Liborio e Angelo Di Dio, padre e figlio, e di Filippo Speziale, genero di Liborio Di Dio. Il pm ha anche chiesto l'ammissione degli atti relativi all'operazione Dioniso condotta dalla Dda di Catania che contiene parti che proverebbero gli strettissimi rapporti tra la mafia ennese e la cosca catanese di Santapaola. Chiesto dall'accusa anche l'utilizzo di intercettazioni telefoniche ed ambientali, molte realizzate in carceri. Alle richieste si sono opposte le difese.
La corte, presieduta da David Salvucci ha disposto che si pronuncerà sulle opposizioni delle difese e sulle richieste del pm il prossimo 6 giugno ed ha fissato il calendario delle prossime 4 udienze. Entro il 30 maggio il pm Condorelli dovrà depositare presso la cancelleria del Tribunale le trascrizioni delle intercettazioni che intende produrre, per consentire alle difese di prenderne visione.
Imputati di associazione per delinquere di stampo mafioso sono il boss di Enna Tano Leonardo, il boss di Caltagirone Francesco La Rocca. il nisseno Giuseppe Laurino gli ennesi Sebastiano Gurgone, Salvatore La Delia, Filippo Mingrino, Sebastiano Varelli, Carmelo La Delia, Pietro Balsamo, Antonino Orlando, i sancataldesi Salvatore Cordaro, Antonino Cordaro e Maurizio Di Vita.
Fonte: La Sicilia

Operazione "Welcome back"

La Procura della Repubblica di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per cinque persone raggiunte da un provvedimento cautelare nel luglio scorso nell'ambito dell'operazione «Welcome Back». Sono tutte riberesi e sono accusate di associazione mafiosa. Si tratta, secondo le accuse della Dda, del trait d'unione della magia agrigentina con la mafia americana e soprattutto si tratta dei più fedeli alleati di Giuseppe Falsone che detiene la leadership della provincia nell'ambito di Cosa nostra.
A formulare la richiesta di rinvio a giudizio è stato il sostituto procuratore della Repubblica Robertò Scarfo. Ora si attende la fissazione dell'udienza preliminare. La famiglia mafiosa americana finita nell'inchiesta è quella dei Decavalcante che ha ispirato la popolare serie tv de «I Soprano».
Fonte: La Sicilia

Incendiato negozio a Giarre

Alle ore 04,15 del 15 Maggio una squadra di vigili del fuoco del Distaccamento di Riposto è intervenuta per l'incendio di un negozio nel centralissimo Corso Italia della cittadina di Giarre, nella foto, località in provincia di Catania.
I vigili del fuoco si sono prodigati immediatamente per individuare l'origine dell'incendio ed al suo spegnimento ma la tipologia di intervento e la difficoltà di accesso ai locali ha richiesto notevoli sforzi.
L'opera di spegnimento ha impegnato le squadre per parecchie ore ed è servita a proteggere i vicini negozi e i locali adiacenti.
Intervenute inoltre una squadra proveniente dal Distaccamento di Acireale e di una Autobottepompa proveniente da Catania.
Si indaga sulle origini del rogo, forse di natura dolosa.
Fonte: sesto potere

Succede a Boccadifalco

Un latitante di mafia va a farsi autenticare la firma nella delegazione municipale. Nessuno lo riconosce, lui esibisce il proprio documento di identita', ringrazia e va via con la procura speciale rilasciata in favore dell'avvocato Carlo Catuogno, valida a tutti gli effetti di legge in virtu' della sottoscrizione autenticata da un pubblico ufficiale. E' accaduto a Palermo, nella sede del quartiere Boccadifalco, dove di e' presentato Andrea Adamo, 44 anni, considerato capomafia di Brancaccio e gia' condannato per il reato previsto dall'articolo 416 bis del codice penale.
Adamo, ricercato dal 20 giugno scorso, si e' fatto autenticare la firma per poter chiedere al Gup Piergiorgio Morosini il rito abbreviato nel processo 'Gotha', in cui e' imputato assieme ad altre 73 persone. Prima di lui anche l'altro latitante sfuggito al blitz della polizia del 20 giugno scorso, Gianni Nicchi, aveva chiesto l'abbreviato per posta. La sua firma era stata riconosciuta in udienza e dunque autenticata indirettamente dall'avvocato Marco Clementi. Adamo invece ha voluto fare le cose perbene, secondo i crismi della legalita'. Sull'episodio la Procura ha avviato accertamenti. L'udienza preliminare del procedimento 'Gotha' proseguira' il 22 maggio.
Fonte: Agi online

Due arresti per estorsione

Due cugini di 33 e 27 anni sono finiti in manette con l'accusa di tentata estorsione aggravata dall'aver agevolato la mafia. Stefano e Giovanni Battista Vassallo, infatti, sono accusati di aver imposto il pagamento del pizzo ad alcuni imprenditori del Palermitano. Le richieste di estorsioni sono arrivate a imprenditori che lavorano nella zona di San Giuseppe Jato, storica roccaforte di Cosa nostra, la cui famiglia locale e' stata decimata dai numerosi arresti di picciotti e boss.
Fonte: virgilio.it

venerdì, maggio 18, 2007

Per l'anniversario

CATANIA - Il 23 maggio, in occasione del 15/mo anniversario delle stragi di Capaci e di Via d'Amelio, la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e il ministero della Pubblica Istruzione hanno organizzato la manifestazione "Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: la loro lezione di libertà e democrazia". "Tutte le iniziative - è detto in una nota - hanno l'obiettivo di ricordare i tragici eventi del '92 e dare voce a coloro che oggi sono impegnati nella battaglia per la legalità nelle istituzioni, nella magistratura, nelle forze dell'ordine, nella scuola e nella società".
La mattina del 23 maggio al porto di Palermo sbarcheranno dalla Nave della legalità circa 1.200 studenti provenienti da tutta Italia che troveranno ad attenderli gli studenti siciliani e i rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali. La nave partirà la sera prima da Civitavecchia, accompagnata dal sottosegretario alla Pubblica Istruzione Letizia De Torre e dal procuratore antimafia Pietro Grasso. Durante il viaggio in nave sono previsti incontri, proiezioni, dibattiti e lavori di gruppo sul tema della legalità.
Alle 9.30, nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone a Palermo, studenti e insegnanti discuteranno di lotta alla mafia e educazione alla legalità insieme al Presidente del Senato, Franco Marini, al ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni e al procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso. Nel corso della mattina il Ministro Fioroni presenterà i primi risultati del lavoro del Comitato nazionale "Scuola e legalità".
In contemporanea, migliaia di studenti e docenti, accompagnati da Alfredo Morvillo e da Manfredi Borsellino, andranno a Corleone sui luoghi dell'arresto di Bernardo Provenzano. Sulla strada che costeggia il rifugio del boss saranno stese le "lenzuola della legalità" realizzate dalle scuole, mentre per le strade del paese le scuole corleonesi organizzeranno una festa della legalità. A Corleone i ragazzi saranno raggiunti dal ministro Fioroni e da Maria Falcone.
Nel pomeriggio, alle 16.00, i ragazzi si ritroveranno a Palermo per partecipare a due cortei che si dirigeranno all'Albero Falcone, in via Notarbartolo, di fronte all'abitazione di Giovanni Falcone. Alle 17.58 si osserverà un momento di raccoglimento e di silenzio in ricordo della strage di Capaci.
Infine, alle ore 21.00 a Piazza Politeama si terrà il concerto gratuito Mille note contro la mafia organizzato dal ministero della Pubblica Istruzione e dalla Fondazione Falcone, al quale parteciperanno gli Zero Assoluto, Carmen Consoli e i Lautari, Frankie HI NRG e Daniele Silvestri.
17/05/2007
Fonte: La Sicilia

martedì, maggio 15, 2007

Crocetta ha vinto!

Roma - "In attesa che arrivi la conferma ufficiale della vittoria che sembra evidenziarsi, voglio esprimere, a nome mio personale e del partito, le più sincere congratulazioni e felicitazioni al compagno Rosario Crocetta, rieletto sindaco di Gela". Lo scrive il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto.
"Il lavoro svolto in questi anni, la battaglia contro la mafia e la lotta quotidiana a favore della legalità - sottolinea - sono stati il tratto di una amministrazione che ha ricevuto di nuovo il consenso dei cittadini di Gela. Sono certo - conclude Diliberto - che Rosario Crocetta saprà ripagare al meglio la fiducia che i gelesi gli hanno rinnovato".
Fonte: virgilio.it

La Barbera resta in carcere

Roma - Gioacchino La Barbera collaboratore di giustizia, esponente di Cosa Nostra, condannato per la strade di Capaci resta in carcere.
Lo ha stabilito la prima sezione penale della Corte di cassazione che, con la sentenza 18218 di oggi, ha respinto il ricorso del pentito e confermato l'ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma con la quale era stata respinta la richiesta di detenzione domiciliare.
Secondo i giudici di merito mancava un requisito fondamentale: "il ravvedimento".
Ciò perché, avevano spiegato "pur avendo l'istante intrapreso nel 2003 il percorso della collaborazione con la giustizia, l'osservazione penitenziaria condotta in istituto non aveva ancora evidenziato il perfezionamento di un adeguato percorso di revisione critica del proprio vissuto deviante ed un compiuto e concreto ravvedimento inteso come un evidente riconoscimento dei propri errori ed una convinta adesione a valori ed a regole di vita socialmente condivise".
In particolare, ha chiarito il Collegio, "a parte la stessa eccessiva lontananza della scadenza della pena, fissata nel 2020, che pone non pochi limiti alla concreta praticabilita' della misura, senza perdere di reale incisività ed efficacia i giudici del tribunale "hanno dato piena contezza del processo logico seguito e delle ragioni che impedivano di formulare un giudizio prognostico totalmente favorevole circa la possibilità che il condannato si astenesse in futuro dal commettere ulteriori reati".
Non basta. "Il tribunale inoltre - hanno messo nero su bianco i giudici di legittimità - nel compiere le proprie valutazioni, non si è basato soltanto sulla redazione redatta nel giugno 2005 dagli operatori penitenziari, rendendo conto anche degli aggiornamenti redatti successivamente, ponendo in evidenza, quanto alla collaborazione probatoria, che la stessa non puo' avere alcun decisivo rilievo in sede di valutazione circa la concedibilita' di misure alternative alla detenzione in carcere".
Fonte: virgilio.it

Sos impresa e Addiopizzo parte civile

Palermo - Sos Impresa e il comitato Addiopizzo sono parte civile contro sette boss del mandamento palermitano di San Lorenzo. La loro costituzione e' stata ammessa oggi dal gup Rachele Monfredi nello stralcio del processo "Gotha", denominato pure "Occidente". Solo uno degli imputati, Giovan Battista Pipitone, di Carini, ha chiesto di essere processato col rito abbreviato. Gli altri -a parte Antonino Cina', che ha optato per il rito ordinario- si sono riservati fino al primo giugno, quando riprendera' l'udienza preliminare. Cina' e' il reggente del mandamento di San Lorenzo e fa parte della "triade" che governava Cosa Nostra. Gli altri imputati sono Vincenzo Pipitone, Antonino Di Maggio, Vincenzo Vallelunga, Girolamo Biondino e Salvatore Davi', tutti arrestati nell'operazione "Gotha" del 20 giugno 2006 e accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni e riciclaggio. La loro posizione e' stata stralciata rispetto al procedimento Gotha principale.
Fonte: Agi online

domenica, maggio 13, 2007

Collaborare con la giustizia

Una lunga militanza nelle file del crimine organizzato li ha messi nelle condizioni di conoscere organigrammi ed "affari" delle cosche criminali alle quali un tempo avevano giurato fedeltà. Ed oggi che hanno deciso di cambiar vita, stanno mettendo al servizio della giustizia le loro conoscenze, contribuendo a sollevare il velo anche su episodi remoti rimasti per anni insoluti. Come nel caso dell'estorsione perpetrata per 15 anni ai danni dell'esercente locale sul quale la polizia ritiene di avere fatto quadrato con l'operazione di ieri notte. Un'estorsione "storica" - come la definiscono gli inquirenti - perpetrata dalle due consorterie criminali a partire dal '92, all'indomani, cioè, della pax mafiosa siglata tra Stidda e Cosa Nostra dopo gli anni bui della guerra di mafia.
Fatti sui quali esponenti storici di Cosa Nostra come Rosario Trubia, oggi pentito, è ferratissimo. La sua posizione apicale all'interno del gruppo di Cosa Nostra capeggiato dagli Emmanuello lo ha messo nelle condizioni di conoscere i "giri" dei suoi "scagnozzi" e le attività estorsive da loro consumate. Perciò, all'atto di saltare il fosso, "Saro" Trubia ha raccontato i retroscena di quell'estorsione stroncata con l'inchiesta "Biancone" ed agli inquirenti ha fatto nome e cognome di chi l'aveva perpetrata.
Anche Benedetto Zuppardo, pentito dell'ultima ora ed ex esponente della Stidda, non ha indugiato all'atto di puntare l'indice contro i suoi ex "amici" e tirarli in ballo per l'estorsione all'esercente. Ha accusato Di Maggio, Liparoti ed un altro giovane all'epoca minorenne ed ora non raggiunto da provvedimento restrittivo perché non imputabile. Stessa cosa ha fatto Emanuele Terlati, alias "Nele pracchia" anche questi passato di recente nelle fila dei collaboranti. Nel confessare di essere stato uno dei protagonisti di quegli anni di estorsione ai danni dell'operatore economico, Terlati, all'atto di delineare agli inquirenti i retroscena quell'estorsione ha raccontato che a riscuotere il "pizzo" dalla vittima avevano provveduto in alcune occasioni anche Bonvissuto ed Incardona.
Ha aggiunto che la vittima in un'occasione gli chiese consiglio su come comportarsi e che lui stesso gli consigliò di piegarsi al ricatto. Sia per Rosario Trubia che per Emanuele Terlati, la Procura distrettuale antimafia nissena ha chiesto allo stesso giudice per le indagini preliminari di non tenere conto della richiesta di arresto avanzata in precedenza nei loro confronti.
Fonte: La Sicilia

sabato, maggio 12, 2007

Danneggiato vigneto confiscato

PALERMO - Il danneggiamento di un vigneto confiscato a un boss mafioso e coltivato da una cooperativa nei pressi di Corleone è stato denunciato ieri sera ai carabinieri. Da un sopralluogo effettuato dai militari dell'Arma si è scoperto che i malviventi hanno danneggiato non l'uva ancora acerba ma le gemme della pianta che avrebbero dovuto dare i propri frutti soltato il prossimo anno. Un danneggiamento "anomalo" come è stato definito dagli stessi investigatori. I terreni, confiscati all'ex boss Giovanni Simonetti, poi collaboratore di giustizia, sono gestiti dalla cooperativa 'Lavoro e non solo' di don Luigi Ciotti, che adescire a Liberaterra. Sulla vicenda scatterà un'inchiesta della Procura di Palermo. A denunciare il danneggiamento è stato ieri sera uno dei giovani che lavorano alla cooperativa. Ignoti, almeno una settimana fa, hanno distrutto, a mano, oltre 700 germogli su 1.000 del vigneto. In questo modo è stato salvato il raccolto del prossimo autunno, mentre è compromesso quello del prossimo anno. Tra gli altri, anche il presidente del Consiglio Romano Prodi ha espresso solidarietà a don Ciotti. Il premier, nell'esprimere indignazione per l'accaduto, auspica inoltre che continui con sempre più vigore la lotta per sradicare la criminalità organizzata.
12/05/2007
Fonte: La Sicilia

Arrestata anche la moglie

CATANIA - Loredana Avitabile, 51 anni, moglie dell'ergastolano latitante Giuseppe Arena, indicato dagli investigatori come esponente della cosca Santapaola, è stata arrestata dalla polizia di Stato per illecito urbanistico e violazione di sigilli. Nei confronti della donna, che era in regime di arresti domiciliari, il Gip del Tribunale di Catania, Angelo Costanzo, ha disposto il trasferimento in carcere.
Secondo le indagini della squadra mobile della Questura e del corpo forestale, coordinate dal pm Miriam Cantone, Loredana Avitabile avrebbe continuato a fare svolgere dei lavori di ampliamento di un immobile di sua proprietà in contrada Palatella Frumento di Belpasso nonostante la polizia giudiziaria avesse posto i sigilli perchè realizzati senza alcuna autorizzazione. La polizia ha accertato inoltre che sullo stesso terreno, in una zona sottoposta a tutela paesaggistica, era in corso la costruzione di una palazzina a due elevazioni di circa 750 metri quadrati a piano.
12/05/2007
Fonte: La Sicilia

Boss capocantiere. (Rettificato)

PALERMO - Faceva il capo-cantiere, vigilava sulla sicurezza degli operai dell'impresa edile per cui lavorava e ne era il rappresentante sindacale: tutto questo, mentre era ricercato dai carabinieri. Non ha trascorso la latitanza con le mani in mano Francesco Franzese, boss di Partanna Mondello, condannato all'ergastolo per associazione mafiosa e omicidio dalla corte d'assise di Messina.
Il particolare è emerso da un'indagine dei carabinieri del comando provinciale di Palermo e del nucleo ispettorato del lavoro che hanno effettuato una serie di controlli nel cantiere edile della ditta "F.G. riuniti s.r.l." di Palermo, impegnata nella costruzione alcuni lotti di villette bifamiliari. Dall'inchiesta è venuto fuori che Franzese, inserito nell' elenco del Ministero dell'Interno dei cento ricercati più pericolosi in Italia, aveva rapporti di lavoro con l'azienda palermitana di cui amministratore unico era Giuseppe Ferrante, 37 anni.
Al termine dell'ispezione i carabinieri, che hanno rilevato 52 violazioni penali e amministrative alle legge sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, hanno sequestrato il cantiere. Nel corso dell'operazione sono state denunciate sette persone e sono state fatte multe per duecentomila euro. Individuati anche 10 lavoratori irregolari tra cui un minorenne.
11/05/2007
Fonte: La Sicilia
Palermo 3 agosto 2007
Oggetto: notizie pubblicate su testate cartacee e virtuali relativi alla latitanza ed all'arresto del Sig. Franzese Francesco.
Formulo la presente nell'interesse nome e per conto della F.G. Riuniti S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore il Sig. Ferrante Giuseppe per rappresentare quanto segue. Diverse notizie diffuse già in precedenza dagli organi di stampa non corrispondono alla realtà dei fatti. In particolare consta che il Sig. Franzese Francesco è stato regolarmente assunto dalla FG Riuniti S.r.l. in un periodo di gran lunga anteriore alla emissione della condanna da parte della Ill.ma C. A. di Messina, e quindi in un momento in cui non erano altrimenti noti nè venuti ad esistenza i provvedimenti oggi a suo carico. Inoltre il predetto Sig. Franzese è stato licenziato formalmente nel mese di luglio 2006 così come già ampiamente e documentalmente dimostrato alle autorità inquirenti non essendosi lo stesso più presentato da tempo sul luogo di lavoro. Con la presente si chiede quindi alle S.S.L.L. di volere provvedere alla tempestiva rettifica di quanto erroneamente affermato in relazione all'oggetto, nonché ad emendare la eventuale futura diffusione di notizie errate ed inverosimili. Riservandomi comunque di adire le opportune vie legali a tutela del buon nome e della onorabilità della della mia assistita e del suo legale rappresentante, la presente a tutti gli effetti di legge e quale formale messa in mora. In attesa di quanto sopra, porgo distinti saluti.
avv. pietro ortolani studio legale
v.madonia
via libertà, 56 90143 palermo

Bipizzo...

CALTANISSETTA - La polizia di Stato ha eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei presunti componenti di una banda che metteva a segno estorsioni a Gela. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta, Giovambattista Tona, su richiesta della procura Distrettuale antimafia. Gli indagati sono accusati di estorsione tentata e consumata, aggravata dal metodo mafioso. Vittima degli esattori del racket era un commerciante di Gela.
Nell'operazione "Biancone" della polizia, che ha portato all'arresto di 13 persone, è emerso che dal 1992 al 2006 un ristoratore di Gela, proprietario di uno dei tanti fast-food del centro storico della città, aveva pagato agli uomini del racket 750 euro l'anno, divisi in tre rate: una a Pasqua, una a Ferragosto e una a Natale. Un pizzo 'bipartisan', diviso tra le cosche di Cosa Nostra e i clan criminali della Stidda. Gli esattori giustificavano le richieste con l'esigenza di far trascorrere le feste in serenità alle famiglie dei detenuti appartenenti a entrambe le organizzazioni criminali, che avevano firmato un accordo di spartizione del territorio.
La vittima ha pagato senza fiatare per 14 anni. L'estorsione è stata scoperta dalla polizia attraverso le microspie installate nel locale dopo le rivelazioni dei collaboratori di giustizia Rosario Trubia (Cosa Nostra) e Benedetto Zuppardo (Stidda). Alla fine il commerciante ha dovuto ammettere l'evidenza dei fatti. I proventi delle estorsioni andavano in parti uguali alla famiglia Rinzivillo, a quella degli Emmanuello (entrambe di Cosa Nostra) e per un terzo agli "stiddari".
Questi i nomi degli arrestati: Giuseppe Ascia, di 21 anni, Emanuele Bassora, di 33, Rocco Crocifisso Bassora, di 35, Mariano Bonvissuto, di 38, Salvatore Cannizzo, di 44, Maurizio Peritore, di 23 anni, Carmelo Raniolo, di 33, tutti di Gela. In carcere, il provvedimento è stato notificato a Salvatore Di Maggio, di 23 anni, Vincenzo Gueli, di 42, Luca Luigi Incardona, di 31, Nicola Liparoti, di 29, Enrico Maganuco, di 44, tutti di Gela, e ad Alessandro Gambuto, di 32 anni, di Butera.
11/05/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, maggio 10, 2007

Il racket colpisce



Fonte: addiopizzo.org

13 condanne

Fonte: addiopizzo.org

Contrada condannato

ROMA - La Cassazione ha confermato la condanna a dieci anni di reclusione per l'ex numero tre del Sisde, Bruno Contrada. Lo ha appena deciso la Prima sezione penale. Con questa decisione la Suprema Corte ha reso definitiva la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa emessa il 25 febbraio 2006, a carico di Contrada, dalla Corte di Appello di Palermo nel processo d'appello bis. I supremi giudici della Sesta Sezione Penale oltre ad aver "rigettato" il ricorso avanzato dai legali dell'ex numero tre del Sisde, lo hanno anche condannato al pagamento delle spese di giustizia.
10/05/2007
Fonte: La Sicilia

Botta e risposta Addiopizzo - Cammarata

Fonte: addiopizzo.org

mercoledì, maggio 09, 2007

Anniversario Peppino

CINISI (PALERMO) - A Cinisi, paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare, a poche centinaia di metri da dall'aeroporto, luogo strategico per il traffico di droga, cento passi separano la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti, il boss locale. Peppino, ragazzo curioso che non gradiva il silenzio opposto alle sue domande, al suo sforzo di tentare di capire, nel 1968 si ribella come tanti giovani al padre. Ma in Sicilia la ribellione diventa sfida al codice della mafia e ha un prezzo come sarebbe stato chiaro il 9 maggio di 29 anni fa, quando Peppino fu ucciso. Con "Radio aut" che infrange il tabù dell'omertà e con l'arma del ridicolo distrugge il clima riverenziale attorno alla mafia, Tano Badalamenti diventa "Tano Seduto" e Cinisi è "Mafiopoli". Si presenta alle elezioni comunali, ma due giorni prima del voto, nella primavera del 1978, lo fanno saltare in aria sui binari della ferrovia con sei chili di tritolo. La morte coincide con il ritrovamento a Roma del corpo di Aldo Moro e viene rubricata come suicidio o atto terroristico.
Solo venti anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell'assassinio. Oggi, su iniziativa del Forum sociale antimafia "Felicia e Peppino Impastato", il presidente dell'Antimafia, Francesco Forgione, pianterà a Partinico un "Albero per Peppino"; in serata una fiaccolata dalla sede di Radio Aut, a Terrasini, a Casa Memoria di Cinisi dove alle 20 è previsto l'intervento Giovanni Impastato che lancerà la manifestazione del 2008: "L'obiettivo - spiega il fratello - è ricordare Peppino a distanza di trent'anni dalla sua morte con un evento contro la mafia e per i diritti di tutti che abbia risonanza a livello nazionale, dando voce a tutti quelli che si sentono parte integrante e attiva del movimento dal basso contro la mafia". Il regista Marco Tullio Giordana nel 2000 raccontò tutto questo con un film, "I cento passi", che ha ridestato nel Paese la passione e l'indignazione per questa storia, facendo conoscere anche la figura eccezionale della madre di Peppino, Felicia, che ha tenuto alto come un vessillo la memoria del figlio. Un film che precede la svolta sul fronte giudiziario. L'11 aprile del 2002 dopo 24 anni è arrivata la condanna all'ergastolo che ha spazzato via i tentativi di depistaggio cominciati già la mattina del 9 maggio 1978, data del delitto. I giudici della terza sezione della Corte d'assise, presieduta da Claudio Dall'Acqua, giudice a latere Roberto Binenti, spiegano nelle motivazioni della sentenza che "il pericolo costituito da tanta irriverente ed irritante rottura del muro dell'omertà era vieppiù palpabile da far ritenere che la soluzione del problema fosse necessaria ed anche impellente, stante peraltro che il giovane di li' a poco, secondo attendibili previsioni, sarebbe stato eletto consigliere comunale". Mafioso all'antica il vecchio Tano, arrestato a Madrid l'8 aprile del 1984. Al giudice americano Pierre Leval che gli chiedeva se fosse un componente di Cosa nostra, rispose: "Se lo fossi non ve lo direi, per rispettare il giuramento fatto". Veniva raccontato e sbeffeggiato da Impastato attraverso le frequenze della sua radio: "Ci sarà anche un porticciolo bellissimo ... già in costruzione ... e potremo sistemare le nostre veloci canoe che porteranno al di la' del mare la sabbia bianca... tabacco... bianco come la neve". La connessione tra il suo assassinio e il boss viene per la prima volta rilanciata con forza nel maggio del 1984, quando l'Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal consigliere istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume "La mafia in casa mia", e il dossier "Notissimi ignoti", indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla "Pizza Connection". Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 decide l'archiviazione del "caso Impastato", ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilita' di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilita' dei mafiosi di Cinisi alleati dei "corleonesi". Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell'omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l'inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l'udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si costituisce un comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise riconosce Vito Palazzolo colpevole e lo condanna a 30 anni di reclusione. L'anno dopo Badalamenti viene condannato all'ergastolo.
09/05/2007
Fonte: La Sicilia

Operazione "Gotha", udienza preliminare

Palermo - Si è aperta questa mattina davanti al Gup di Palermo Piergiorgio Morosini, l'udienza preliminare a carico di 73 persone coinvolte nell'operazione antimafia 'Gotha'. Il blitz, per impedire che scoppiasse una nuova guerra fra cosche, avvenne il 20 giugno dello scorso anno e portò all'esecuzione di 54 fermi. Fra gli imputati per i quali la Procura adesso chiede il rinvio a giudizio, oltre al boss Bernardo Provenzano, figura anche l'ex deputato regionale di Forza Italia, Giovanni Mercadante. In avvio di udienza nell'aula bunker di Pagliarelli le associazioni 'Addio Pizzo' ed 'Sos Impresa' hanno chiesto di potersi costituire parte civile. Il Gup si è riservato di decidere.
Fonte: adn kronos

Delitto Scaglione rimane impunito

Palermo, 4 mag. - E' impunito da 36 anni l'assassinio di Pietro Scaglione, procuratore capo della Repubblica di Palermo assassinato il 5 maggio del 1971 assieme all'agente di custodia Antonio Lo Russo nell'agguato che segno' l'inizio dell'attacco armato della mafia contro la magistratura siciliana. per espressa volonta' dei familiari, che manifestano "profonda amarezza", l'anniversario sara' ricordato solo con una messa celebrata in forma privata. Scaglione fu ucciso in via Cipressi, dopo la consueta visita mattutina sulla tomba della moglie nel cimitero dei Cappuccini. In una nota, i familiari del magistrato "pur con profonda e perdurante amarezza per la mancata individuazione e condanna dei mandanti e degli esecutori dell'efferato delitto", dicono di trovare "un limitato conforto nel fatto che, come e' stato accertato dall'autorita' giudiziaria e da altri organi istituzionali, i possibili moventi del delitto sono, in ogni caso, da ricollegare all'attivita' doverosa e istituzionale svolta 'in modo specchiato' dal procuratore Scaglione, soprattutto nella lotta contro la mafia". In diverse sentenze, Pietro Scaglione e' stato definito "magistrato integerrimo, dotato di eccezionali capacita' professionali e di assoluta onesta' morale, persecutore spietato della mafia". Tra le sue inchieste, quelle su molti misteri siciliani, dal banditismo alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, all'assassinio del sindacalista Salvatore Carnevale, negli anni Cinquanta. Dopo la strage mafiosa di Ciaculli del 1963, grazie alle inchieste condotte dall'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo guidato da Cesare Terranova, (anch'egli assassinato dalla mafia) e dalla Procura diretta da Pietro Scaglione le organizzazioni mafiose furono duramente colpite. Il magistrato si dedico' anche all'attivita' di presidente del Consiglio di patronato per l'assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo tra l'altro la costruzione di un asilo nido. Per questo impegno, gli fu conferito dal ministero il diploma di primo grado al merito della redenzione sociale.
Fonte: agi.it

Confermato ergastolo a Vitale

PALERMO - La prima sezione della Corte d'assise d'appello di Palermo ha confermato la condanna all'ergastolo del boss di Partinico, Leonardo Vitale, imputato di tre omicidi risalenti alla prima metà degli anni Novanta. Vitale rispondeva dei delitti che avevano visto come vittime Leonardo Ortoleva, Giuseppe Salvia e Mario Baretta. Secondo il procuratore generale, Carmelo Carrara, i tre sarebbero stati uccisi per motivi legati alle loro azioni di presunti ladruncoli che davano fastidio a Cosa Nostra. Il difensore dell'imputato, l'avvocato Monica Lo Jacono aveva chiesto l'assoluzione per la mancanza di riscontri.
09/05/2007
Fonte: La Sicilia

Operazione "Black out", nove arresti

TRAPANI - Il mandamento mafioso di Mazara del Vallo che comprende le "famiglie" di Mazara e Marsala sarebbe stato composto da imprenditori, commercianti, dipendenti comunali e operai. E sullo sfondo l’ombra della massoneria sul controllo degli appalti pubblici. E’ ciò che emerge dall’operazione "Black out" della Squadra mobile di Trapani scattata nelle prime ore di questa mattina.
Nove gli arresti. Nelle relative ordinanze di custodia cautelare, emesse dal Gip di Palermo su richiesta della Dda, sono contestati i reati di associazione mafiosa, favoreggiamento aggravato, turbata libertà degli incanti, detenzione illegale di armi ed esplosivi. Tra gli arrestati, figura l'architetto Giuseppe Sucameli, di 59 anni, funzionario tecnico del Comune di Mazara del Vallo, ma anche l'impiegato comunale Giuseppe Gabriele, di 39 anni, di Campobello di Mazara. In manette anche gli imprenditori Michele e Salvino Accomando, padre e figlio di 59 e 28 anni, e gli operai Antonio e Marco Buffa, padre e figlio di 62 e 34 anni, tutti di Mazara del Vallo. Gli altri ordini di arresto hanno interessato tre commercianti di Marsala: Gaetano Davide Greco di 39 anni, Carlo Licari detto "Nicola" e Vincenzo Fabio Licari detto "Fabio", amici di 56 e 32 anni. Attraverso una serie di intercettazioni e riprese video, gli investigatori avrebbero accertato l'esistenza di un gruppo ristretto di persone, per lo più imprenditori, incaricato inizialmente di gestire la latitanza del capo mandamento di Mazara del Vallo e boss della cosca locale, Andrea Manciaracina, e di Natale Bonafede della famiglia mafiosa di Marsala. Dopo l'arresto dei due latitanti, avvenuto la notte del 31 gennaio 2003, lo stesso gruppo avrebbe continuato a occuparsi del controllo degli appalti pubblici su diretta espressione di volonta' del vertice del mandamento di Mazara del Vallo. Secondo gli investigatori, soprattutto l'attività imprenditoriale di Michele Accomando avrebbe rappresentato per l'associazione mafiosa, una fonte di sostentamento e al tempo stesso uno strumento per la gestione del territorio: sia attraverso il controllo, da parte di Michele Accomando in concorso con il funzionario comunale Giuseppe Sucameli, delle gare pubbliche bandite dal Comune di Mazara del Vallo, sia per le opere realizzate dalla Srl "Gruppo Lavori", gestita dallo stesso Accomando, quale aggiudicataria di gare pubbliche o esecutrice di lavori in regime di sub appalto o di nolo a freddo. Sulla base degli elementi raccolti, e' stato eseguito il sequestro preventivo della "Gruppo Lavori s.r.l.", che ha sede a Mazara del Vallo in viale Turchia 24, ed ha come oggetto sociale l'assunzione di appalti pubblici e privati nel campo dell'edilizia immobiliare e stradale in genere. In relazione al favoreggiamento della latitanza di Andrea Manciaracina e di Natale Bonafede, invece, e' stato disposto il sequestro preventivo di una Fiat Panda 4x4, intestata a Michele Accomando. Attraverso i servizi di intercettazione, sono anche emerse prove riguardo alla disponibilita' di armi da parte degli indagati, oltre che di somme di denaro e documenti custoditi per conto della cosca mafiosa. Nel corso dell'operazione, sono state notificati nove avvisi di garanzia, con l'avvio di contestuali perquisizioni, nei confronti di altri imprenditori, di Mazara del Vallo, Palermo e Agrigento, la cui posizione e' al vaglio della DDA di Palermo.Nell’inchiesta viene fuori un coinvolgimento della massoneria nel sistema di controllo degli appalti pubblici costruito dal un gruppo di imprenditori, commercianti, dipendenti comunali e operai, tutti ritenuti organici o contigui al mandamento mafioso di Mazara del Vallo. Nelle trame dell’indagine si profila un patto di ferro finalizzato inizialmente alla gestione della latitanza del capo mandamento di Mazara del Vallo, Andrea Manciaracina, e di Natale Bonafede, della famiglia mafiosa di Marsala, e dopo l'arresto dei due, nella notte del 31 gennaio 2003, al controllo degli appalti pubblici. Le intercettazioni, in particolare, spiegano gli investigatori, rivelano la "dichiarata appartenenza dell'imprenditore Michele Accomando a una loggia massonica, di natura e radice imprecisata, operante a Mazara del Vallo e, per suo stesso dire, diffusa tramite altri 'fratelli' in altre zone del territorio siciliano". Nella veste di massone, l'imprenditore si sarebbe attivato per la risoluzione di alcune pratiche amministrative, nonchè per evitare il trasferimento del funzionario comunale Giuseppe Sucameli, responsabile dal 29 marzo 2002 al 16 ottobre 2003 dell'Ufficio Appalti del Comune di Mazara del Vallo (ufficio costituito con determina sindacale del 29 marzo 2002 all'interno dell'Ufficio Contratti), "tentando di intervenire presso la Corte dei Conti, motivando tale scelta con la circostanza che, presso la struttura della magistratura contabile, prestava servizio anche un 'loro fratello". Secondo gli uomini della Mobile, Accomando avrebbe pilotato le gare pubbliche bandite dal Comune di Mazara del Vallo, a beneficio della locale famiglia mafiosa, grazie al determinante concorso di Sucameli, "costantemente pronto - come si desume dalle intercettazioni - a prestare la propria funzione per favorire le imprese di volta in volta indicate da Cosa nostra".Sucameli sarebbe risultato pienamente inserito nell'organico della cosca mazarese, come peraltro Accomando. Dalle conversazioni intercettate, in particolare, sarebbe emerso che entrambi avrebbero partecipato a importanti incontri tra uomini d'onore, compreso l'allora latitante Totò Riina, fin dai tempi in cui la 'famiglia' mazarese era retta dal suo rappresentante storico Mariano Agate. Il funzionario comunale, anche dopo essere stato rimosso dall'incarico all''Ufficio appalti, a causa di dissidi con il segretario comunale dell'epoca, avrebbe continuato a operare per la gestione illecita delle gare pubbliche a favore delle ditte indicate dai vertici mafiosi, rappresentati da Salvatore Tamburello e dal figlio Matteo dopo la cattura di Manciaracina. Il reato di turbata liberta' degli incanti è stato accertato in relazione alla gara pubblica per la 'realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria nella via Reno' a Mazara del Vallo.
09/05/2007
Fonte: La Sicilia

Arresti eccellenti

MESSINA - Nove provvedimenti cautelari, sei in carcere e tre ai domiciliari sono stati eseguiti all'alba di oggi dalla Squadra mobile nell'ambito dell'inchiesta sul piano regolatore generale di Messina e sull'intreccio d'interessi che vi ruota intorno attraverso le procedure amministrative di rilascio delle concessioni edilizie, dei piani-quadro e delle lottizzazioni. I provvedimenti restrittivi nell'ambito dell'operazione "Oro grigio" sono stati firmati dal giudice per le indagini preliminari Maria Angela Nastasi su richiesta del sostituto procuratore della Dda Rosa Raffa e dei colleghi del pool pubblica amministrazione Angelo Cavallo e Giuseppe Farinella.
In carcere sono finiti, con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione ed alla commissione di falsi "con riferimento alla gestione di importanti operazioni immobiliari di ingente valore economico", tra gli altri, l'ex presidente del consiglio comunale, Umberto Bonanno (Forza Italia), l'avvocato Giuseppe 'Pucci' Fortino, il funzionario tecnico dell'Ufficio area coordinamento politica del territorio del Comune Antonino Ponzio e il funzionario tecnico della facoltà di Scienza della Formazione dell'Universita' Antonio Gierotto. Gli altri provvedimenti riguardano imprenditori operanti nel settore dell'edilizia. Gli arrestati ed altri indagati - cui politici e e funzionari della Regione - secondo l'accusa, avrebbero intascato tangenti per la realizzazione del complesso abitativo "Green Park" sul viale Trapani, facendo approvare una variante al piano regolatore generale di Messina per l'edificazione di otto corpi di fabbrica, elevandone l'indice di cubatura. L'operazione immobiliare avrebbe dovuto portare ad intascare tangenti per 1 milione 550 mila euro e a ottenere anche la cessione di alcuni appartamenti dalle societa' costruttrici S.a.m.m. costruzioni e Ar.ge.mo. srl. Tra gli indagati il presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro e l'imprenditore palermitano Michele Aiello, il sindaco di Messina Francantonio Genovese, l'ex 'patron' della Dc peloritana Giuseppe Astone, l'ex sindaco Giuseppe Buzzanca, l'ex presidente della Regione Giuseppe Campione, l'ex sottosegretario Santino Pagano, il senatore Nanni Ricevuto, e l'ex segretario della Cisl Carmelo Briante. Oltre un anno d'intercettazioni telefoniche e ambientali hanno consentito alla squadra mobile di ottenere la prove della spartizione da parte degli arrestati di mazzette per 127 mila euro; 62.500 li avrebbe incassati l'avvocato Fortino, 37.500 il funzionario Gierotto (considerato il braccio operativo di Fortino), 17.900 l'ex presidente del consiglio comunale Bonanno e 10 mila euro il funzionario comunale Ponzio. Gli arrestati si erano già spartiti altri 120 mila euro ma non se ne conosce la suddivisione in quote. La complessa inchiesta aperta nel 2006 della Dda, del pool pubblica amministrazione e della squadra mobile di Messina ruota attorno alle dichiarazioni dell'imprenditore Antonino Giuliano, il cosiddetto "Pentito Alfa" che, ridotto sul lastrico, ha cominciato a collaborare con i magistrati di Reggio Calabria prima e di Messina poi raccontando di un gruppo "politico-affaristico" costituito da personaggi in grado di ottenere con metodi illegali, avvalendosi delle competenze specifiche di ognuno, le necessarie autorizzazioni amministrative per la realizzazione di nuovi complessi abitativi in aree non previste come edificabili dal Prg. Le sue dichiarazioni ed i successivi riscontri hanno portato all'iscrizione di sessantaquattro persone (politici, imprenditori, amministratori, tecnici, professionisti) nel registro degli indagati ai quali vengono contestati i reati di associazione per delinquere usura, estorsione, peculato, falso, abuso d'ufficio, corruzione, concussione, turbativa d'asta, ricettazione e procacciamento violento di voti durante le campagne elettorali a partire dal 2000. Tra gli indagati anche l'assessore comunale ed ex presidente dell'Ordine degli ingegneri Arturo Aloni, l'avvocato Andrea Lo Castro e gli imprenditori Carlo Borella, Pasquale Saverio Colao, Antonello Giostra, Antonino Versaci e Vincenzo Vinciullo. Oltre ai nove arrestati nell'operazione "Oro grigio" scattata a Messina su tangenti e appalti, ci sono anche tre funzionari della Regione siciliana indagati: Giuseppe Giacalone, Rosa Anna Liggio e Cesare Antonino Capitti. La squadra mobile di Palermo, su delega della questura di Messina, ha effettuato stamattina una perquisizione nelle loro abitazioni e negli uffici dell'assessorato regionale al territorio e ambiente. Sono state rinvenute e sequestrate ingenti somme di denaro e documentazione ritenuta interessante.
08/05/2007
Fonte: La Sicilia

365 pagine depositate in cancelleria

PALERMO - Un durissimo atto d'accusa nei confronti dell'imputato, ma anche una valutazione molto negativa nei confronti del presidente della Regione Sicilia, Toto' Cuffaro. In 365 pagine depositate in cancelleria, i giudici della terza sezione del Tribunale di Palermo spiegano le ragioni della decisione con cui, il 6 dicembre scorso, fu condannato a otto anni, con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, l'ex assessore alla Salute del Comune di Palermo Mimmo Miceli. Con lui, in accoglimento delle proposte dei pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci, fu riconosciuto colpevole anche l'ex segretario particolare di Vito Ciancimino Francesco Buscemi, che ebbe sette anni.
Il collegio presieduto da Raimondo Loforti ritiene Miceli un trait-d'union fra Cuffaro e il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. Proprio quest'ultimo avrebbe perorato la candidatura nelle liste del Cdu (oggi Udc) di Miceli, poi sponsorizzato dai mafiosi alle elezioni regionali del 2001. Il rapporto tra il governatore siciliano e il boss, sempre negato da Cuffaro, viene dato per scontato dai giudici: "Cuffaro e Guttadauro - si legge nella motivazione - continuano a mantenersi fedeli alla consegna di parlarsi fra loro solo attraverso Miceli". In un primo momento il capomafia di Brancaccio avrebbe chiesto la candidatura nel Cdu del proprio avvocato, Salvo Priola: il tramite sarebbe stato sempre Miceli, abituale frequentatore del salotto di Guttadauro assieme a un altro chirurgo, Salvo Aragona, condannato per concorso esterno e in rapporti - anche lui - col governatore siciliano. Dopo avere scoperto che Priola non era gradito a Cuffaro, Guttadauro preferì proprio Miceli, anche in virtù del particolare rapporto che lo legava a Cuffaro. Molti particolari di queste trattative sono stati rivelati dalle intercettazioni ambientali effettuate a casa del boss e sono stati poi spiegati da Aragona, divenuto collaboratore dei magistrati. Secondo l'analisi dei giudici, Guttadauro, più volte condannato per mafia, "non ritiene necessario, anzi valuta inopportuno, che il politico si schieri in prima persona su temi legati alla sopravvivenza di Cosa Nostra e piu' in generale si dichiara pronto a rendersi disponibile anche senza incontrare Cuffaro di presenza", mentre Miceli "fa da tramite fra il politico e gli affiliati mafiosi senza nascondere ad alcuno dei soggetti interessati la sua attivita'". Intanto le microspie continuano a registrare i colloqui che si svolgono nell'abitazione del mafioso: le ha piazzate il Ros nel 1999 e nel giugno 2001 Guttadauro le ritrovera'. Colpa di una fuga di notizie in cui Cuffaro, Miceli e Aragona avrebbero avuto un ruolo fondamentale. Per questo stesso fatto il Governatore è imputato nel processo 'Talpe alla Dda', con le accuse di favoreggiamento aggravato e rivelazione di segreto delle indagini. Alcuni pm hanno chiesto di aggravare l'accusa, facendola diventare concorso esterno. Il vertice della Procura, di fronte alle obiezioni dei titolari del processo Cuffaro, si è limitato a chiedere la riapertura di un'inchiesta già archiviata. Su questa richiesta il gip Fabio Licata non ha ancora deciso. E ora, dopo che i giudici scrivono che l'aver rivelato la presenza delle microspie dimostra piena consapevolezza della "potenzialita' agevolatrice per il sodalizio criminale e per Guttadauro", il dibattito e le polemiche interne alla Procura potrebbero riaprirsi. Proprio in merito alle intercettazioni la sentenza fa emergere come i periti abbiano attrezzature sofisticate, ma non capiscano il siciliano e dunque non sempre siano attendibili le loro analisi. Una frase pronunciata in dialetto ("vieru ragiuni avi'a Toto' Cuffaro") sembrava indicare nel presidente della Regione Sicilia la fonte dell'informazione sulla presenza della cimice piazzata in casa del boss Giuseppe Guttadauro; secondo la terza sezione del Tribunale di Palermo, quelle parole sarebbero state veramente pronunciate. La questione era stata oggetto di infinite polemiche tra i pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci e i legali di Miceli, gli avvocati Ninni Reina e Carlo Fabbri. I difensori avevano sostenuto che la frase era incomprensibile e la loro tesi era stata rafforzata da una perizia ordinata dallo stesso Tribunale. Il collegio, dimostrando però di essere "peritus peritorum" (il piu' esperto degli esperti) non dà retta a coloro che pure aveva nominato: "L'ascolto - scrivono in sentenza - è risultato incomprensibile solo ai tecnici che hanno minore esperienza di dialetto siciliano, sia per le loro diverse originai regionali, sia per il fatto che il luogo in cui abitualmente esercitano la loro attivita' si trova fuori dalla Sicilia". A questo proposito viene citato un errore in cui incorre il gruppo diretto dal superpoliziotto Giampaolo Zambonini: "Confonde in modo evidente il primo 'ragiuni' (ragione, ndr) che compare nella frase, con 'raggrumi'. Espressione che nel contesto della conversazione non ha alcun senso logico... Semplicemente (l'esperto) non riesce a cogliere l'iterazione della stessa parola, che e' un fenomeno comune nel 'parlato' regionale". La difesa di Miceli aveva affermato che il riferimento poteva essere non a 'Toto' Cuffaro' ma 'a to' cugnato', il fratello della moglie di Guttadauro, il medico Vincenzo Greco, anch'esso coinvolto nell'indagine.
08/05/2007
Fonte: La Sicilia