martedì, settembre 18, 2007

Vittima della mafia e della regione...

Ispettore capo di polizia rimane invalido dopo un agguato mafioso in Sicilia dove restano uccisi due pregiudicati. Gli danno una pensione e assumono sua moglie in Regione. Ma due anni dopo, "l'Ufficio solidarietà alle vittime di mafia" (megastruttura dello stesso ente regionale che dovrebbe assistere chi è stato colpito da Cosa Nostra) gli contesta l'invalidità: è del 70\%, ma per un errore diventa del 35. Siccome la legge regionale prevede almeno il 50\% d'invalidità per avere familiari assunti in enti pubblici, nel 1999 la Regione comunica all'ormai ex poliziotto l'imminente licenziamento della moglie e la mancata assunzione della figlia maggiore. Per un 15\% in meno di danni fisici (peraltro molto evidenti: non ha più l'uso del braccio sinistro) si manda sul lastrico la famiglia di una vittima di mafia. L'odissea giudiziaria di Angelo C. - che ha prestato servizio anche in Emilia - dura da oltre 8 anni, gli è già costata oltre 4mila euro di spese legali e sta arrivando a una soluzione grazie anche all'aiuto della Fervicredo, l'associazione di vittime della criminalità e del dovere (presiduta dall'ex agente veneziano Mirko Schio) di cui è diventato dirigente. LA STORIA - Nell'ottobre del '93 Angelo C. era un giovane ispettore capo destinato a un commissariato caldo della Sicilia, a Licata (Agrigento) in piena guerra di mafia. Una mattina, con un collega, interviene per fermare l'ennesima rapina in un ufficio postale della sua città. S'innesca una sparatoria e rimangono uccisi due banditi, sono fratelli con pesanti precedenti di mafia. Ma anche Angelo rimane gravemente ferito: un proiettile gli trapassa il braccio sinistro spappolandogli l'omero. Per motivi di sicurezza viene portato d'urgenza lontano dalla Sicilia, a Firenze: si temono ritorsioni mafiose anche in ospedale. Nel capoluogo toscano mentre è sedato e aspetta l'intervento, cade misteriosamente dalla barella e si provoca altri traumi. Viene comunque operato al braccio una prima volta, ma non recupererà mai la funzionalità dell'arto. Oggi Angelo C. ha 44 anni e la sua storia, se possibile, è diventata ancor più drammatica. Infatti la moglie, nel '97, era stata assunta in Regione sulla base di una legge speciale per i familiari delle vittime di mafia. «Con la mia pensione di poco più di un milione era difficile tirare avanti - racconta l'ex poliziotto - e mantenere le nostre due figlie che oggi hanno 14 e 20 anni». Dopo soli due anni la incredibile beffa. L'ufficio per la solidarietà alle vittime della mafia (sic!) istituito presso la Regione Sicilia - con qualcosa come cento funzionari in organico (un enorme carrozzone) - comincia la sua battaglia, o meglio persecuzione, nei confronti di Angelo. «Lei non ha il 50\% di invalidità, ma "solo" il 35\%» gli contestano. In verità almeno mezza dozzina di visite specialistiche attestano che quel braccio penzoloni "vale" il 70\% se non addirittura - ultimi esami con al Commissione medico ospedaliera militare di Bologna (Cmo) - i 4/5 della capacità lavorativa in meno. Ma tant'è: la moglie di Angelo nel '99 viene licenziata e solo dopo una prima battaglia legale, due anni dopo, il giudice del lavoro la reintegra. Ma l'ufficio della solidarietà ricorre anche in Appello e Angelo sborsa altri soldi per le spese legali. Ora pare si stia arrivando a una situazione di compromesso, ma dopo 14 anni il caso resta una macchia indelebile nell'assistenza alle vittime della mafia.
Fonte: Il gazzettino

Nessun commento: