venerdì, febbraio 29, 2008

Assurdo...

PALERMO - La Corte di Cassazione ha disposto la scarcerazione, per scadenza dei termini, di Giuseppe Salvatore Riina, figlio terzogenito del boss di Corleone Totò Riina, detenuto al 41 bis a Sulmona. Riina è uscito dal carcere di Sulmona davanti al quale era atteso da una Mercedes nera parcheggiata davanti all'ingresso del carcere.
Giuseppe Salvatore Riina è stato arrestato nel 2002. Accusato di associazione mafiosa ed estorsione era stato condannato in primo grado a 14 anni e 6 mesi. In appello la pena era stata ridotta a 11 anni e 8 mesi. La Corte di cassazione, però, aveva annullato senza rinvio la condanna per estorsione e con rinvio quella per associazione mafiosa.
Il processo era tornato davanti ad un'altra sezione della corte d'appello di Palermo che aveva condannato nuovamente Riina per
l'associazione mafiosa a 8 anni e 10 mesi. I legali, intanto, avevano fatto ricorso al tribunale del riesame di Palermo contro la custodia cautelare in carcere del terzogenito del capomafia di Corleone, sostenendo che nel frattempo erano decorsi i termini di carcerazione. I giudici della libertà l'avevano respinto. I difensori si sono rivolti a questo punto alla Cassazione "che - ha detto l'avvocato Cianferoni - ha annullato la misura senza rinvio, disponendo la liberazione immediata di Riina".
È complesso l'iter processuale che si è concluso con l'ordinanza, firmata ieri sera, con cui la corte di Cassazione ha scarcerato Giuseppe Salvatore Riina. La Suprema Corte si è pronunciata, annullandolo senza rinvio, su un provvedimento del tribunale del riesame di Palermo che confermava il carcere per il terzogenito del capomafia, respingendo il ricorso del suo legale, l'avvocato Luca Cianferoni.
Dopo l'annullamento, da parte degli Ermellini, della prima sentenza di condanna d'appello a carico di Riina jr, il processo a carico del giovane rampollo di Corleone è tornato ai giudici di secondo grado che l'hanno nuovamente condannato per associazione mafiosa a 8 anni e 10 mesi, confermando anche la custodia cautelare in carcere. Il legale dell'imputato ha fatto ricorso al tribunale del riesame contro la conferma del carcere in appello, sostenendo che i termini di custodia fossero scaduti. Il tribunale del riesame l'ha respinta. Da qui il ricorso in Cassazione che, secondo le prime ricostruzioni, avrebbe aderito all'orientamento giurisprudenziale sul calcolo dei termini di custodia più favorevole al detenuto.

28/02/2008
Fonte: La Sicilia

Arrestato estorsore denunciato

PALERMO - Un imprenditore di Palermo, taglieggiato per dieci anni, dopo aver subito minacce e vessazioni, ha denunciato il suo estorsore che stanotte è finito in manette. Si tratta di Giuseppe Sgroi, 57 anni, considerato vicino al clan mafioso di Carini. L'imprenditore si chiama G.T., è titolare di un'azienda di servizi, e la sua denuncia è considerata un ulteriore segnale di cambiamento in una Palermo che ha voglia di ribellarsi al "pizzo". "Voglio denunciare la vicenda di cui sono vittima da anni - comincia così il suo racconto agli inquirenti - ho ceduto fino ad oggi, ma non intendo farlo più, e per questo da tempo medito di rivolgermi alle forze dell'ordine". Sgroi, sfuggito alla cattura lo scorso 16 gennaio nell'operazione "Addiopizzo", è stato fermato dagli uomini della squadra mobile. L'uomo è accusato di concorso in estorsione, aggravata dall'aver agito per conto di Cosa nostra. Con lui i poliziotti hanno arrestato in flagranza Michael Tommy Cangemi, nato a New York e residente a Cinisi, che lo ospitava in casa propria, con l'accusa di favoreggiamento aggravato. Dal racconto di G.T. è emerso che Sgroi taglieggiava la sua vittima da un decennio. Prima del 2001, riscuoteva 800 mila lire ogni tre mesi, poi 1.600 euro ogni trimestre, ai quali si aggiunsero 20 mila euro, quando la vittima acquistò un nuovo stabilimento.
28/02/2008
Fonte: La Sicilia

mercoledì, febbraio 27, 2008

Ancora Crocetta che sa come lavorare... Bravo! Ce ne fossero come lui..

PALERMO - Il Comune di Gela ha escluso dalla graduatoria delle case popolari mafiosi, estorsori, pedofili e falsi poveri. L'amministrazione comunale, guidata da Rosario Crocetta, ha assegnato ieri 80 alloggi e ha tenuto fuori dall'assegnazione persone che avevano precedenti per pedofilia e mafia. E' emerso che su 160 iscritti sono state riscontrate una sessantina di dichiarazioni false; una ventina di persone, inoltre, hanno riportato condanne per le quali il Comune aveva previsto l'esclusione dal diritto della casa popolare. Dalla graduatoria sono stati depennati oltre a persone con precedenti penali per truffa anche per mafia, estorsione e reati di pedofilia. Il Comune di Gela applica questa linea non solo per l'assegnazione delle case popolari ma anche per l'intervento sociale nei confronti di estorsori, mafiosi e pedofili ai quali "non vengono concessi contributi e agevolazioni" da parte dell'amministrazione guidata da Crocetta.
27/02/2008
Fonte: La Sicilia

martedì, febbraio 26, 2008

Colpito membro dell'associazione antiracket

LICATA (AGRIGENTO) - Quattro piccole serre, in contrada Falconara, a Licata, di proprietà di un produttore agricolo, sono state distrutte. I tunnel sono stati devastati e incendiati. L'episodio si è verificato la scorsa settimana, ma soltanto oggi sono trapelate le notizie. Il produttore agricolo, bersaglio dell'intimidazione, è uno dei componenti dell'associazione antiracket e antiusura di Licata.
26/02/2008
Fonte: La Sicilia

lunedì, febbraio 25, 2008

Tre arresti per estorsione

MESSINA - I carabinieri hanno arrestato a Messina tre persone con l'accusa di usura aggravata e tentata estorsione ai danni di due fratelli di Furnari (Me). Le vittime si erano rivolti agli arrestati tramite un intermediario, per ottenere un prestito di 100 mila euro, necessari per avviare un'attività commerciale. Le manette sono scattate per Giuseppe Palermo, 40 anni; Letterio Cosenza, 37; Carmelo Basile, 28 anni.
Fonte: La Sicilia

domenica, febbraio 24, 2008

Forse trovato l'aggressore di Maniaci

Palermo, 21 feb. - Un ventenne, Francesco Guida, e' stato denunciato dalla polizia a Partinico (Palermo) come responsabile, in concorso con Michele Vitale, rampollo del clan mafioso un tempo egemone in quel territorio, dell'aggressione subita il 29 gennaio scorso dal direttore dell'emittente "Telejato", Giuseppe Maniaci. Guida e' stato identificato in base a un riconoscimento fotografico effettuato dallo stesso giornalista, che all'indomani del pestaggio era andato in onda con l'occhio nero per confermare che non si sarebbe lasciato intimidire. Le indagini sono state condotte dai poliziotti del Commissariato di P.S. di Partinico.
Fonte: Agi.it

Arrestato Spoto

Roma - 20 febbraio 2008 - Vincenzo Spoto affiliato alla "famiglia" mafiosa di Casteltermini (Agrigento) è stato arrestato ieri in Romania dagli uomini dell'Interpol. Il boss era ricercato dalla procura di Palermo per associazione per delinquere di stampo mafioso. Le indagini svolte hanno accertato che Vincenzo Spoto ricopriva funzioni organizzative e logistiche nel garantire la latitanza all’estero dei ricercati appartenenti alla "famiglia". All'arresto si è giunti anche grazie alla collaborazione nata dalla task-force italo rumena creata per combattere le organizzazioni criminali che hanno interessi nei due Paesi. I risultati raggiungi dal gruppo di lavoro italo-rumeno verranno sottolineati anche nel corso di una prossima visita che il capo della Polizia Antonio Manganelli effettuerà a Bucarest per incontrare i vertici delle forze dell’ordine rumene.
Fonte: Sesto potere

Altro ergastolo per Provenzano

Palermo, 15 feb. - Condanne all'ergastolo per Bernardo Provenzano, per il capomafia di Sciara Rosolino Rizzo, per Girolamo Pirronitto, di Vallelunga (Caltanissetta), e per Salvatore Puccio, macellaio di Caccamo. Dieci anni ciascuno per i pentiti Ciro Vara e Nino Giuffre'. Sono queste le richieste avanzate alla prima sezione della Corte d'assise di Palermo dai pm Lia Sava e Costantino De Robbio, nel processo per l'omicidio di un meccanico di Valledolmo, Gandolfo Panepinto, che venne ucciso nel paese a sessanta chilometri dal capoluogo, nella sua officina, quasi vent'anni fa: l'omicidio e' infatti del 23 febbraio 1988, ma solo grazie alla collaborazione di Giuffre' e Vara (originario di Villalba, provincia di Caltanissetta), si pote' risalire, negli ultimi anni, agli autori e ai mandanti del delitto, commesso 'in condominio' dai mafiosi delle province nissena e palermitana. Panepinto sarebbe stato ucciso perche' considerato un "cane sciolto", avrebbe cioe' commesso estorsioni e reati nei territori delle province siciliane senza l'autorizzazione dei boss. Nelle prossime settimane la sentenza del collegio presieduto da Salvatore Di Vitale, a latere Roberta Serio.
Fonte: AGI.it

150 mln di euro di sequestri

PALERMO - Beni per circa 150 milioni di euro sono stati sequestrati a un prestanome dei boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. A farlo sono stati gli agenti della sezione Misure di prevenzione della questura di Palermo che, nell'operazione denominata ''Secret business'' hanno apposto i sigilli a centinaia di immobili in provincia di Trapani e di Palermo riconducibili ad Andrea Impastato, 60 anni, arrestato nel 2002 per mafia e ritenuto un prestanome dei due boss.
Il patrimonio sequestrato comprende aziende operanti nell'edilizia e nell'estrazione di materiale da cava, complessi industriali, capannoni, terreni, beni mobili, conti correnti, depositi e titoli per un valore complessivo di un milione e mezzo di euro, e un complesso turistico-residenziale a San Vito Lo Capo, costituito da numerosi appartamenti e alcune villette. I provvedimenti di sequestro sono stati disposti dai giudici del tribunale di Palermo che hanno accolto la richiesta del procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e del pm Gaetano Guardì, che hanno coordinato l'inchiesta.
Tutti i beni erano riconducibili, direttamente o indirettamente, ad Andrea Impastato, figlio di Giacomo detto "u sinnacheddu", esponente mafioso di spicco della famiglia di Cinisi e legato ai Badalamenti. Un fratello di Impastato, Luigi, 65 anni, venne assassinato a Palermo il 22 settembre del 1981, agli inizia della guerra di mafia finita con il predominio dei corleonesi.
Andrea Impastato era stato arrestato il 2 ottobre del 2002 per associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta su Pino Lipari, 73 anni, arrestato il 24 gennaio dello stesso anno e condannato come il consulente finanziario di Provenzano. Dall'esame del materiale informatico sequestrato a casa di Lipari è emerso che Impastato era stato indicato da Provenzano come amministratore delle ricchezze dei boss. Le successive indagini hanno portato a far emergere una serie di contatti, sia personali che economici, di Impastato con numerosi personaggi di spicco di Cosa nostra, come Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo.
Fonte: La Repubblica

martedì, febbraio 19, 2008

Studenti tedeschi per imparare sulla mafia

PALERMO - Un gruppo di studenti della facoltà di Filosofia dell'Università di Ratisbona, in Baviera nel sud-est della Germania, si sono presentati questa mattina al palazzo di giustizia e hanno incontrato il procuratore aggiunto, Guido Lo Forte, per assistere a una mini-lezione sulla mafia. L'Università di Ratisbona è nota per una "lectio magistralis" pronunciata nel 2006 in quella sede da Papa Benedetto XVI.
Fonte: La Sicilia

lunedì, febbraio 18, 2008

Bonaccorso continua

PALERMO - "Sono stato introdotto in Cosa nostra da Andrea Adamo, reggente di Brancaccio che avevo conosciuto tra il 1998 e il 2000 attraverso mio cugino Fabio Scimò". È il racconto reso ai pm di Palermo dal neo-pentito Andrea Bonaccorso, sul suo progressivo avvicinamento a Cosa nostra. "Sono stato detenuto tra il 2001 e il 2005 e dopo la mia scarcerazione, attraverso Tonino Lo Nigro, l'Adamo mi aveva fatto contattare e avevo ripreso i miei rapporti con lui - prosegue il collaboratore - poi attraverso Adamo ho cominciato a frequentare anche i Lo Piccolo. All' inizio il rapporto era assolutamente epistolare. In seguito mi hanno voluto conoscere". Ai pm che gli sottopongono un album con le foto di decine indagati per verificare le sue conoscenze tra i fedelissimi dei boss Lo Piccolo, il neo-pentito riferisce di volta in volta i nomi e racconta alcuni episodi relativi alla sua esperienza di "soldato" nella cosca di Brancaccio. A proposito di tale Giuseppe Geraci, da lui definito "reggente di Altarello di Baida", Bonaccorso dice: "Venne subito estromesso non appena si seppe che aveva un parente nelle forze dell'ordine. Di questo fatto Geraci si era lamentato con me, dicendomi che era stato estromesso dalle attività di Cosa nostra e che gli erano state tolte le estorsioni. La sua storia di "affiliato" è durata solo un mese (dal novembre al dicembre 2007, quando fu arrestato), ma la sua partecipazione alla vita del clan Lo Piccolo è certamente più lunga. Bonaccorso sapeva di essere pedinato. E a proposito di Angelo Chianello, da lui definito "il collegamento tra Nino Nuccio e Luigi Bonanno", il pentito dice: "Io Nuccio e Chianello ci incontravamo in un panificio di viale Strasburgo e ricordo che eravamo seguiti da poliziotti in borghese". Al fratello di Bonaccorso, l' 1 febbraio scorso, è stato incendiato il negozio di abbigliamenti in via Imera. Un gesto riconducibile, per gli investigatori, alla decisione dell'ex uomo d'onore di collaborare con la giustizia. Di lui parla anche il pentito Pulizzi. Il collaboratore fu il primo nei mesi scorsi a raccontare che Bonaccorso partecipò all'omicidio del capomafia Nicola Ingarao, assassinato per ordine dei Lo Piccolo nel luglio scorso a Palermo: in particolare, il picciotto di Brancaccio, che dopo essersi pentito ha ammesso la propria partecipazione al delitto, avrebbe guidato la moto utilizzata per l'agguato. In quel momento, non era ancora formalmente uomo d'onore. Così come non lo era quando seguiva da vicino le varie fasi della caccia a Giovanni Nicchi. Bonaccorso racconta che Salvatore Sorrentino, incaricato di raccogliere le estorsioni a Pagliarelli, "era in contatto con Nicchi e per tale motivo era stato incaricato dai Lo Piccolo di rintracciarlo. Anche Sorrentino doveva essere ucciso". Bonaccorso racconta poi che Luigi Bonanno, altro favoreggiatore dei Lo Piccolo, arrestato il 16 gennaio scorso nell'operazione Addio Pizzo, fu contattato per mettersi sulle tracce di Nicchi. "Bonanno - dice il pentito - mi doveva essere presentato per organizzare un traffico di cocaina dall'Olanda. Doveva occuparsi di rintracciare Nicchi al fine di raccogliere le indicazioni per ucciderlo. Giancarlo Seidita, dopo la pubblicazione dei pizzini trovati a Franzese, mi aveva detto che, contrariamente a quello che c'era scritto sui giornali, il crastagneddu o crasticeddu era Nicchi, mentre "Tiramisu" era un ragazzo della Marinella". Bonaccorso è stato arrestato per detenzione di stupefacenti nel dicembre socrso e il 16 gennaio una nuova ordinanza di custodia lo ha raggiunto in carcere nel blitz "Addio Pizzo". Con la stessa operazione è finito in manette Calogero Lo Piccolo, altro figlio del boss Totuccio.
18/02/2008
Fonte: La Sicilia

sabato, febbraio 16, 2008

200 mila euro di sequestri

MESSINA - La polizia su richiesta della Dda ha eseguito un provvedimento di confisca di beni per il valore complessivo di 200 mila euro nei confronti di Pietro Mazzagatti, arrestato nel 2006 con l'accusa di associazione a delinquere, tentata estorsione. Mazzagatti deve scontare 7 anni e sei mesi di carcere dopo essere stato arrestato nell'operazione "Catering" perchè secondo gli inquirenti avrebbe effettuato una serie di attentati ai danni dei negozi "Tuoluyan". Tra i beni confiscati che sono concentrati nel territorio del comune di Santa Lucia del Mela, vi sono depositi, una serie di appezzamenti di terreno per una estensione di circa 25 mila metri quadrati, un uliveto e un fondo rustico di 5 mila metri quadri, nonchè un auto Bmw X5 e alcune polizze assicurative.

16/02/2008
Fonte: La Sicilia

venerdì, febbraio 15, 2008

Ganci condannato a 30 anni

ROMA - Aveva parlato delle cosche mafiose in tempi in cui pronunciare la stessa parola 'mafia' era difficile, tanto che Leonardo Vitale venne rinchiuso in manicomio negli anni '70. Ma Cosa Nostra sapeva che aveva detto la verità e non mancò di vendicarsi, molti anni dopo, quando Vitale uscì dall' ospedale psichiatrico, uccidendo nel 1984 davanti casa. La Cassazione (sentenza n.7330) chiude oggi il capitolo dell' omicidio del 'primo pentito di mafia', confermando la sentenza di condanna a 30 anni per uno dei killer di Vitale, Domenico Ganci. La Corte d'appello aveva a sua volta confermato la condanna del tribunale di Palermo per Domenico Ganci, colpevole in concorso con Calogero Ganci (quest'ultimo pentitosi e giudicato separatamente), Raffaele Ganci e Domenico Guglielmini per omicidio premeditato. Era stato lo stesso ex boss della Noce, Calogero Ganci, che molti anni dopo, come collaboratore di giustizia aveva spiegato il perchè di quell' omicidio: "Quella di Vitale era una lezione. Come dire, anche fra 10, 20 anni, noi ti cercheremo sempre" aveva detto ai magistrati. Un'azione dimostrativa contro tutti i pentiti, come Buscetta e Contorno, che avevano osato sfidare l'omertà di Cosa Nostra. Negli anni successivi altri collaboratori avevano poi confermato esecutori e mandanti dell' omicidio Vitale. Calogero Ganci aveva partecipato, assieme a Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi, all' omicidio di Vitale, mentre Domenico Ganci e Domenico Guglielmini erano stati gli esecutori materiali, attendendolo davanti casa in vespa e uccidendolo a colpi di pistola. Domenico Ganci aveva fatto ricorso in Cassazione contro la condanna adducendo tra i motivi "dichiarazioni contrastanti dei collaboratori di giustizia e dei testimoni oculari". La I sezione penale della Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso, confermando la condanna e dando ragione ai giudici di merito che avevano ritenuto "precise e reciprocamente convergenti le dichiarazioni rese dai collaboratori (uno dei quali aveva spontaneamente confessato il gravissimo reato), ponendo in luce i gravi e molteplici riscontri sia oggettivi sia individualizzanti emersi nel corso del giudizio e ritenendo minime e quindi ininfluenti le divergenze emerse nelle diverse testimonianze".
15/02/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, febbraio 14, 2008

1,5 mln di euro di sequestri

SIRACUSA - Beni, per un valore complessivo di 1,5 milioni di euro, ritenuti riconducibili a Giuseppe Benvenuto, 35 anni indicato come appartenente a Cosa nostra siracusana, sono stati sequestrati dalla Direzione investigativa antimafia di Catania a Francofonte (Siracusa) e Novara. Il decreto di sequestro è stato emesso dal Tribunale di Siracusa e riguarda terreni, una villa, un appartamento e un'impresa agricola a Francofonte (Siracusa); un esercizio commerciale, un locale bottega ed un appartamento a Novara, e mezzi di trasporto e rapporti bancari in diverse città. Giuseppe Benvenuto è ritenuto dagli investigatori il capo di Francoforte della cosca mafiosa capeggiata dal boss Sebastiano Nardo, fedelissimo del capomafia Nitto Santapaola. È detenuto dall'aprile del 2005 in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso nell'ambito di un'inchiesta coordinata dalla Dda della Procura di Catania.
14/02/2008
Fonte: La Sicilia

mercoledì, febbraio 13, 2008

Adesso si spiegano un paio di cose...

PALERMO - Potrebbe esserci un messaggio a un fedelissimo di Bernardo Provenzano, Paolo Palazzolo, cognato del padrino di Corleone, dietro all'omicidio dei fratelli Giampaolo e Giuseppe Riina, assassinati ieri a Partinico. Secondo fonti della Procura potrebbe non essere casuale che il duplice omicidio sia stato commesso il giorno in cui Paolo Palazzolo è stato scarcerato. Ieri, infatti, il cognato di Provenzano ha finito di espiare una condanna a 8 anni per associazione mafiosa ed è tornato nella sua abitazione di Balestrate, vicino Partinico. Secondo gli investigatori i Riina, come anni prima il padre, Salvatore, assassinato nel '98, erano vicini a Palazzolo e Provenzano. Il mandante del duplice omicidio, scegliendo per il delitto la data di scarcerazione di Palazzolo, avrebbe voluto far capire al cognato di Provenzano che il suo potere sulla zona era finito e che a comandare su Partinico non sono più i seguaci del padrino di Corleone. Salvatore Riina anni prima di essere ucciso aveva affittato un'abitazione a Palazzolo. L'autopsia sui corpi dei due fratelli sarà eseguita oggi nell'Istituto di Medicina legale del Policlinico di Palermo. Durante tutta la notte la polizia, che indaga sul duplice delitto, ha effettuato perquisizioni nelle abitazioni delle vittime e nei locali dell'impresa edile di cui erano titolari. Perquisite anche le abitazioni di numerosi pregiudicati della zona. Sempre oggi dovrebbe essere interrogato Fulvio Giordano, il dipendente dei due fratelli rimasto ferito durante l'agguato. Non saranno disponibili, invece, fino a domani le immagini riprese dalla videocamera piazzata davanti al bar a pochi metri dal quale è stato commesso l'omicidio. Per estrarre i fotogrammi dalle riprese è necessario uno speciale programma che ancora la polizia scientifica non avrebbe. Dieci anni fa il padre delle due vittime era stato assassinato a pochi metri dall'agguato di ieri. Anche in quel caso si trattava di un omicidio di matrice mafiosa. Secondo le prime ricostruzioni degli investigatori, che hanno sentito decine di persone presenti nel bar vicino al luogo del delitto, a entrare in azione sarebbero stati due sicari, scesi da una Fiat Punto con il volto coperto da caschi integrali. Le due vittime, colte di sorpresa, sarebbero state in grado di fare solo qualche metro, poi sarebbero state colpite al torace e alla testa da due pistole diverse, una calibro 9 e una calibro 44. Gli assassini si sarebbero poi allontanati con l'auto, ritrovata carbonizzata nelle campagne del paese poche ore dopo l'omicidio. La macchina è risultata rubata.

13/02/2008
Fonte: La Sicilia

E' morto "il PAPA"

E' morto Michele Greco, il boss mafioso detto "Il Papa". Greco, detenuto a Rebibbia, era ricoverato da alcune settimane presso l'ospedale "Pertini" di Roma.
Fonte: Agi.it

Scoperte nel cimitero di mafia

PALERMO - Del corpo che apparterrebbe a Bartolomeo Spatola, scomparso a Sferracavallo il 19 settembre del 2006, sono stati rinvenuti nel terreno solo alcuni resti tra cui i piedi, riemersi dallo scavo accanto ad un paio di scarpe.
Già condannato per associazione mafiosa, Spatola, 73 anni, sarebbe stato coinvolto dal capomandamento di Pagliarelli, Nino Rotolo, nel progetto di eliminare il rivale Salvatore Lo Piccolo, un piano mai realizzato. Il giorno della sua sparizione Spatola si allontanò da casa dicendo alla sorella, con cui viveva, che aveva un appuntamento e non fece più ritorno.
Fonte: La Sicilia

Funzionario comunale chiede il pizzo

VALVERDE (CATANIA) - Avrebbe chiesto a una commerciante che lavora anche come ambulante, allestendo stand di piante e fiori, tremila euro per concedere la necessaria licenza per l'occupazione del suolo pubblico durante lo svolgimento del mercatino in paese. E' l'accusa contestata a un dirigente del Comune di Valverde, che è stato arrestato per concussione dai carabinieri della compagnia di Acireale.
Il funzionario, S. V., di 57 anni, dirige l'ufficio Commercio, Ici e Tributi comunali, ed è stato bloccato dai militari dell'Arma in flagranza di reato. La vittima, infatti, aveva denunciato la richiesta di tangente agli investigatori che hanno preparato un piano anti corruzione e l'hanno catturato mentre incassava il 'pizzo' pattuito. I carabinieri l'hanno subito arrestato e restituito i tremila euro alla legittima proprietaria.
Fonte: La Sicilia

martedì, febbraio 12, 2008

10 mln di euro di sequestri

SIRACUSA - Due società di sbancamento terra e beni immobili per un valore complessivo stimato dagli investigatori in 10 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di finanza di Siracusa in applicazione della legge antimafia. Secondo l'accusa facevano parte del patrimonio riconducibile al presunto boss Angelo Monaco del clan Trigila. Il provvedimento è stato richiesto dal procuratore capo di Siracusa, Roberto Campisi, ed eseguito dal comando provinciale delle Fiamme gialle e dal nucleo di polizia giudiziaria. L'operazione è stata compiuta nelle zone di Noto e Avola, ma anche nelle zone turistiche di San Lorenzo e Marzamemi. I beni sequestrati, in parte di proprietà di due figlie e di un genero di Angelo Monaco, sono costituiti da capannoni, appartamenti, edifici, 30 mezzi meccanici e 22 autocarri. Dalle indagini sarebbe emerso che la cosca sarebbe subentrata in appalti vinti da altre società che sarebbero state 'invitate' a 'mettersi da parte' nella conduzione dei lavori. All'operazione hanno partecipato 50 investigatori, 20 automezzi e un elicottero dell'elinucleo di Catania.
12/02/2008
Fonte: La Sicilia

Agguato a Partinico

PARTINICO (PALERMO) - E' un agguato di stampo mafioso quello in cui sono state uccise due persone e una terza è rimasta ferita a Partinico, un paese a 30 chilometri da Palermo. Le vittime sono Giuseppe e Gianpaolo Riina, rispettivamente di 37 e 31 anni, figli di Salvatore Riina, omonimo del boss di Cosa nostra, un imprenditore ucciso nel '98 e accusato di avere coperto la latitanza di alcuni mafiosi; poco prima della sua morte era entrato in contrasto con i capi mafia della zona, i Vitale, per ragioni di controllo delle attività illecite del territorio. Anche i figli di Riina svolgevano l'attività di imprenditori, nel settore del movimento terra. L'agguato è scattato poco dopo le 7 davanti al bar "Le goloserie" nella piazza Santa Caterina, omonima della chiesa che vi si affaccia a poca distanza dal luogo dove venne ucciso Salvatore Riina. Un cadavere si trova proprio davanti l'ingresso del bar mentre l'altro è a una decina di metri vicino a un'automobile: sono crivellati dai proiettili, le vittime sono state colpite alla testa e al torace. Secondo la ricostruzione degli investigatori i killer erano due; sarebbero giunti su un'auto. Poi sono scesi e hanno impugnato due pistole, forse calibro 9 e 44, e hanno fatto fuoco mirando ai due fratelli con le bracia tese. Un duplice omicidio compiuto con freddezza e da persone che, alla luce degli elementi noti, hanno agito con esperienza e rapidità. I due assassini poi sono saliti sull'auto e sono andati via a forte velocità incendiando poco dopo la vettura. I due fratelli erano apena usciti da casa, in via Merla, quando è scattato l'agguato. I tre uomini hanno tentato di fuggire ma sono stati raggiunti dai colpi dei sicari. Secondo le testimonianze, in piazza stamattina si trovavano pochissime persone e le uniche che potrebbero aver visto qualcosa erano nel bar. Il bar è dotato di una videocamera di sicurezza. Le immagini registrate saranno esaminate dagli inquirenti per appurare se sono state riprese alcune fasi del duplice omicidio. I sicari avrebbero utilizzato per la fuga una Fiat Punto, che è stata trovata parzialmente bruciata in contrada Alba Chiara, alla periferia di Partinico. L'auto era stata rubata a Palermo. Il ferito, Fulvio Giordano, originario di Giardinello (Pa), è un dipendente della loro impresa. Giordano è stato portato nell'ospedale di Partinico e le sue condizioni non sarebbero gravi. Giuseppe e Giancarlo Riina gestivano una piccola impresa e avevano ottenuto appalti, non di grossa entità, anche da enti pubblici come i comuni di Partinico e Giardinello. Proprio in una villetta nel territorio di Giardinello vennero arrestati, il 5 novembre scorso, i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo insieme a altri due capimafia. La collaboratrice di giustizia Giusy Vitale, sorella del boss di Partinico Vito che gestiva con i fratelli la cosca, nelle sue dichiarazioni aveva detto che "Giuseppe Riina è uomo di Provenzano contrapposto ai Vitale". Gli inquirenti ipotizzano che il duplice omicidio sia una reazione all'uccisione nell'ottobre scorso, a Borgetto, del meccanico Antonino Giambrone era figlio di Vito, assassinato a sua volta nel '98 a Borgetto (comune adiacente a Partinico), e considerato un fedelissimo del boss Vito Vitale. A sua volta l'omicidio di Giambrone sarebbe stato una risposta all'uccisione nel luglio scorso, a Partinico, dell'imprenditore Giuseppe Lo Baido definito dagli inquirenti un fedelissimo del boss di Altofonte, latitante, Domenico Raccuglia.

Fonte: La Sicilia

lunedì, febbraio 11, 2008

Solidarietà a Maniaci

PARTINICO (PALERMO) - È stato un tg particolare quello cui hanno assistito questo pomeriggio i circa 150 mila telespettatori di Telejato, l'emittente del comprensorio di comuni attorno a Partinico (Palermo), il cui direttore, Pino Maniaci, era stato picchiato dal figlio di un boss mafioso il 29 gennaio scorso. Dalle 15.30 alle 16.15 i protagonisti del tg sono stati infatti, oltre al conduttore Maniaci, Lorenzo Del Boca, presidente nazionale dell'ordine dei giornalisti, Franco Siddi, segretario della Fnsi, e il presidente dell'Unci, Guido Columba. I vertici rappresentativi del giornalismo italiano hanno voluto così portare la loro solidarietà al collega minacciato dalla mafia, organizzando una secie di tavola rotonda nella parte conclusiva del notiziario.
"La cronaca locale è il cuore del giornalismo - ha detto Del Boca - e i colleghi che lavorano, come Maniaci, in frontiera hanno molto da insegnare anche ai cronisti più quotati. È in questi luoghi che il giornalismo mantiene il suo contatto con il territorio ed esercita il ruolo di denuncia più difficile".

A Maniaci, non iscritto all'ordine dei giornaliti, Columba ha voluto regalare la tessera d'iscrizione all'Unci. "Per continuare a fare in modo che l'informazione continui nel suo mestiere, in un periodo in cui mafia, leggi e magistratura ne ostacolano il lavoro - ha concluso Siddi - dobbiamo stringere un patto con la società civile affinchè alzi la voce assieme a noi". "Sono davvero commosso per la solidarietà dei colleghi - ha detto Maniaci - e continuerò a fare quello che ho sempre fatto, senza padroni e stigmatizzando le ingiustizie sia di destra sia di sinistra".

11/02/2008
Fonte: La Sicilia

Monsignor Pennisi minacciato

PIAZZA ARMERINA (ENNA) - Degli "angeli custodi" con la divisa sorveglieranno le sedi religiose dell'arcivescovado di Piazza Armerina per tutelare l'incolumità del vescovo, monsignor Michele Pennisi, preso di mira in un volantino ingiurioso in cui viene criticato per non avere disposto la celebrazione in chiesa dei funerali del boss gelese Daniele Emmanuello, ucciso mentre tentava di fuggire alla cattura della polizia lo scorso 3 dicembre. Il servizio di tutela è stato disposto dal Comitato per l'ordine e la sicurezza riunitosi stamani nella Prefettura di Enna per analizzare quanto è accaduto. La lettera, con le frasi che la polizia giudica "farneticanti" dove si incita anche ai boss, è stata rinvenuta a Gela, città che ricade nella diocesi. La Procura di Caltanissetta ha aperto un'inchiesta per scoprire gli autori del volantino, mentre gli investigatori fanno notare che non è la prima volta che a Gela circolano lettere anonime, molte in passato sono state quelle indirizzate al sindaco Rosario Crocetta, a preti, sindacalisti e politici. "Il Signore ci liberi dal pizzo e dalla mafia", si limita a commentare monsignor Pennisi. La Diocesi di Piazza Armerina fa sapere che "il vescovo si mostra sereno e consapevole di avere operato per il bene, coerentemente con il suo compito di pastore". "La sua azione contro l'illegalità - dice il direttore della diocesi Giuseppe Rabita - è in sintonia con la linea della chiesa italiana, recentemente espressa dal Cardinale Bagnasco nell'ultimo Consiglio permanente della Cei e nella recente sessione della Conferenza Episcopale siciliana". Nella nota la Diocesi aggiunge che "la Chiesa di Piazza Armerina intende impegnarsi a fare la sua parte sia dal punto di vista della catechesi e dell'educazione morale al rispetto della legalità; siamo quindi pronti a collaborare, attraverso la Caritas diocesana, con l'associazione antiracket e antiusura sorta a Gela". Riguardo alla mancata celebrazione delle esequie di Daniele Emanuello nella Chiesa Madre, "così come richiesto dai familiari - chiarisce Rabita - il vescovo si è attenuto alle disposizioni dell'autorità competente, ricordando però di non aver fatto mancare la necessaria assistenza spirituale ai familiari con la celebrazione del rito nella cappella del cimitero da parte di un padre francescano".

11/02/2008
Fonte: La Sicilia

Non dimentichiamo...

E' ripresa, nell'aula grandi processi del palazzo di giustizia di Torino, l'udienza del dibattimento contro l'ex ministro Dc Calogero Mannino. Davanti ai giudici della seconda sezione della Corte D'appello di Palermo, presieduta da Claudio Dall'Acqua, in trasferta per motivi di sicurezza, il pentito Francesco Campanella - l'ex presidente del Consiglio comunale di Villabate, autore della falsa carta d'identita' con cui Bernardo Provenzano ando' a farsi operare in Francia - sta rispondendo alle domande dell'avvocato Salvo Riela, che con Grazia Volo assiste l'attuale senatore dell'Udc, presente in aula.
Fonte: La Repubblica

Ecco il covo dei Lo Piccolo

PALERMO - Gli investigatori della squadra Mobile hanno localizzato il covo dove il boss Salvatore Lo Piccolo e il figlio Sandro, arrestati il 5 novembre scorso in una villa di Giardinello (Palermo) avrebbero trascorso gli ultimi sei anni della loro latitanza.
Il rifugio, individuato anche sulla base delle indicazioni di alcuni ex fedelissimi dei Lo Piccolo che hanno cominciato a collaborare con la giustizia, si trova a Terrasini, una località balneare del Palermitano a poca distanza da Giardinello. Il covo dove i Lo Piccolo avrebbero trascorso gli ultimi anni della loro latitanza è una grande villa a due elevazioni, che si trova nei pressi della strada statale; a poche decine di metri da un supermercato della catena Sisa. Nel rifugio, i Lo Piccolo avrebbero vissuto insieme con una famiglia di tre persone, che avrebbe presso in affitto la villa. Secondo alcune indiscrezioni, gli investigatori sarebbero riusciti a risalire al covo attraverso le indicazioni fornite dal pentito Gaspare Pulizzi, ex guardaspalle di Totuccio Lo Piccolo. Nella villa, che è già stata sottoposta a un'accurata perquisizione, sono stati trovati alcuni oggetti personali appartenenti ai Lo Piccolo, ma nessun documento utile alle indagini. Gli inquirenti ritengono che il covo sia stato "ripulito" subito dopo la cattura dei due Lo Piccolo, probabilmente dall'altro figlio del boss, Calogero, arrestato il 16 gennaio scorso nell'operazione denominata 'Addio Pizzo'.
11/02/2008
Fonte: La Sicilia

domenica, febbraio 10, 2008

Forse un cimitero di mafia

PALERMO - I resti umani, con brandelli di abiti, trovati in un appezzamento di terreno a Villagrazia di Carini potrebbero appartenere a Giovanni Bonanno, giovane mafioso reggente del mandamento di Resuttana a Palermo scomparso con il metodo della lupara bianca l' 11 gennaio 2006.
I resti saranno fatti vedere ai famialiari e con tutta probabilità verranno sottoposti all'esame del Dna per stabilire con certezza a chi appartengano. Il ritrovamento da parte della polizia è stato possibile dopo le ricerche con le ruspe in un luogo indicato dal pentito Gaspare Pulizzi, uomo del boss Totò Lo Piccolo, secondo cui in quella zona sarebbero sepolti i resti di numerose vittime della mafia, la maggior parte affiliati a Cosa nostra.

10/02/2008
Fonte: La Sicilia

sabato, febbraio 09, 2008

La lista dei 30 ricercati più pericolosi d'Italia

ROMA - È Santo La Causa, 43 anni, chiamato "pantalone", reggente di Cosa Nostra a Catania, il boss che ha preso il posto di Vincenzo Licciardi, arrestato ieri, nella lista dei 30 latitanti di massima pericolosità che fanno parte del Programma speciale di ricerca, selezionati dal Gruppo integrato interforze ricerca latitanti della Direzione centrale della polizia criminale.
La Causa, ricercato dal maggio 2007 è stato indicato da più pentiti come il "capo di tutti i gruppi di Cosa nostra a Catania", "in grado di far tremare la città per carisma e intelligenza".


MAFIA
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- VITO BADALAMENTI, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, ed altro.
- GIUSEPPE FALSONE, ricercato dal 1999 per associazione di tipo mafioso, omicidi e traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
- MATTEO MESSINA DENARO, ricercato dal 1993, per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro
- GERLANDINO MESSINA, ricercato dal 1999, per associazione di tipo mafioso e vari omicidi.
- SALVATORE MICELI, ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti ed altro.
- GIOVANNI MOTISI, ricercato dal 1998 per omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso ed altro, dal 2002 per strage ed altro.
- GIOVANI NICCHI, ricercato dal 2006 per associazione di tipo mafioso, estorsione ed altro.
- DOMENICO RACCUGLIA, ricercato dal 1996 per omicidi, associazione di tipo mafioso, rapina, estorsione ed altro.
- MICHELE ZAGARIA, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, rapina ed altro.
- SANTO LA CAUSA, ricercato dal 2007 reggente della cosca Santapaola a Catania.

'NDRANGHETA
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- CARMELO BARBARO, ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso, omicidio ed altro.
- DOMENICO CONDELLO, ricercato dal 1993 per omicidio, associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, rapina, armi, ed altro.
- PASQUALE CONDELLO, ricercato dal 1997 per omicidio, estorsione, armi ed altro.
- GIOVANNI STRANGIO, tra i ricercati per la strage di Duisburg dell'agosto scorso.
- GIUSEPPE COLUCCIO, ricercato dal 2005 per associazione di tipo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti ed altro.
- PIETRO CRIACO, ricercato dal 1997 per associazione di tipo mafioso, omicidio, armi ed altro.
- GIUSEPPE DE STEFANO, ricercato dal 2003 per associazione di tipo mafioso, spaccio di sostanze stupefacenti ed altro.
- GIOVANNI TEGANO, ricercato dal 1993 per omicidi ed associazione di tipo mafioso, ed altro.
- MICHELE ANTONIO VARANO, ricercato dal 2000 per associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere, contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ed altri gravi reati finanziari ed economici.
- ANTONIO PELLE, ricercato dal 2000 per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico Internazionale di armi, sostanze stupefacenti ed altro.

CAMORRA
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- PATRIZIO BOSTI, ricercato dal 2005 per concorso in omicidio ed altro.
- ANTONIO IOVINE, ricercato dal 1996 e dal 2002 per omicidio ed altro.
- GIUSEPPE GIORGI, ricercato dal 1995 per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, armi, estorsioni ed omicidi.
- MARCO DI LAURO, ricercato dal 2005, per associazione di tipo mafioso ed altro.
- SEBASTIANO PELLE, ricercato dal 1995 per associazione per delinquere finalizzata al traffico Internazionale di armi e sostanze stupefacenti ed altro.
- PASQUALE RUSSO, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, omicidio, occultamento di cadavere, concorso in omicidio plurimo ed altro.
- SALVATORE RUSSO, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, omicidio, occultamento di cadavere ed altro.
- PASQUALE SCOTTI, ricercato dal 1985, per omicidio ed occultamento di cadavere ed altro.

ALTRO
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- ATTILIO CUBEDDU, ricercato dal 1997, per non aver fatto rientro, al termine di un permesso, nella Casa Circondariale di Badu è Carros (Nuoro), dove era ristretto, per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime.
- RAFFAELE ARZU, ricercato dal 2002 per rapina.

08/02/2008
Fonte: La Sicilia

venerdì, febbraio 08, 2008

Adelfio si pente

Palermo, 8 feb. - Giovanni Adelfio, 70 anni, destinatario di un provvedimento di fermo emesso dalla procura di Palermo nell'ambito dell'operazione antimafia 'Old Bridge' di ieri, si è costituito questa mattina al carcere 'Pagliarelli'. Adelfio viene indicato nel provvedimento di fermo come componente di Cosa nostra e di aver svolto le funzioni direttive, nella famiglia mafiosa di Villagrazia di Palermo e "di avere posto in essere, insieme ad altri soggetti indiziati di mafia componenti della sua famiglia mafiosa una serie di contatti volti alla gestione degli affari illeciti della stessa con esponenti di altre.
Fonte: Apcom

Mega sequestro. 250 mila euro.

PALERMO - Beni patrimoniali per un valore commerciale ancora in corso di accertamento e conti bancari superiori a 250 mila euro, riconducibili a Calogero Martorana, 43 anni, di San Giuseppe Jato (Palermo), sono stati sequestrati dai carabinieri su disposizione del tribunale di Palermo, sezione misure di prevenzione. Martorana è stato condannato nel 1999, a due anni di reclusione per associazione di tipo mafioso.
Il sequestro riguarda un fabbricato, un appartamento e un complesso aziendale per il confezionamento e la vendita di fiori, a San Giuseppe Jato, nonché tre depositi a risparmio. Tutto era intestato alla moglie e alla suocera di Martorana. Il provvedimento, precede l'udienza prevista per fine mese per l'eventuale applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.

08/02/2008

Fonte: La Sicilia

La parola di Crocetta

GELA - " Ho appena incontrato il prefetto e i magistrati della Dda che mi hanno parlato di questo piano della cosca Emmanuello per uccidermi. Oggi è il mio compleanno, compio 57 anni, e proprio in questa giornata apprendo una simile notizia. Davvero un bel regalo della mafia", dice il sindaco di Gela Rosario Crocetta commentando la notizia del progetto di attentato nei suoi confronti che sarebbe legato alle sue battaglie contro la mafia e la sua campagna di moralizzazione.
Crocetta licenziò dal comune la moglie del boss Daniele Emmnauello, morto lo scorso dicembre durante un blitz dell polizia nel casolare in cui si nascondeva da latitante. "Gela è stata la capofila - aggiunge - di un processo di rottura dei vecchi schemi in cui politica e mafia andavano a braccetto ed ha cominciato la lotta al racket delle estorsioni. Io continuerò la mia battaglia come ho sempre fatto".
Alla domanda su come ci sente a vivere sotto scorta il sindaco dice: "È allucinante. Fare il proprio dovere e sapere di essere nel mirino della mafia e una cosa impensabile. È da 5 anni che vivo scortato con la paura per me e gli uomini che mi proteggono".


08/02/2008
Fonte: La Sicilia

Volevano uccidere Crocetta !!!

CALTANISSETTA - La cosca mafiosa gelese stava preparando un attentato nei confronti del sindaco di Gela, Rosario Crocetta (Pdci). La notizia è emersa durante indagini condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.
I magistrati hanno accertato dell'esistenza del piano da intercettazioni effettuate negli ultimi mesi. Della vicenda i pm hanno subito informato il prefetto che presiede il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
L'inchiesta ruota attorno alla cosca mafiosa degli Emmanuello; il capo del clan, Daniele Emmanuello, è stato ucciso il 3 dicembre scorso mentre tentava di sfuggire alla cattura nelle campagne dell'ennese.
Il progetto di attentato emerge da un'intercettazione, effettuata dalla Squadra mobile di Caltanissetta nell'ambito delle indagini sulla cosca gelese. L'inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto, Renato Di Natale e dal pm della Direzione distrettuale antimafia, Nicolò Marino.


08/02/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, febbraio 07, 2008

Le famiglie Calì e Casamento

PALERMO - Gestiscono decine di società per la distribuzione alimentare negli Stati Uniti, sono titolari di imprese edili che realizzano palazzi a New York e creano aziende per il riciclaggio di denaro in paesi offshore. Sono Frank Calì e Filippo Casamento, i nuovi capi delle famiglie mafiose americane, che fanno parte dei clan Gambino e Inzerillo con forti collegamenti con i boss di Cosa nostra di Palermo.
Francesco (Frank) Calì ha 43 anni, detto "Franky boy", è nato a New York da genitori di Palermo e secondo le indagini dell'Fbi è il personaggio emergente nell'ambito della famiglia mafiosa dei Gambino della Lcn (la Cosa nostra) americana. Sposato con una Inzerillo da cui ha avuto due figli, la sua "combinazione" nella famiglia Gambino risale a molti anni fa, a riferirlo al Federal bureau of investigation era stata nel gennaio 1997 una loro fonte attendibile.
Due anni dopo un pentito, Frank Fappiano, che era uomo d'onore dei Gambino, ha riferito ai magistrati americani di aver conosciuto Calì come "wiseguy", ovvero uomo d'onore. Franky boy era stato così inserito nel quadro di comando della famiglia dopo l'arresto dei fratelli John e Joe Gambino e Jackie D'Amico che era il capo della 18/a strada di Brooklyn a New York.
Gli affari illeciti di Frank Calì girerebbero attorno a diverse società americane, in particolare la "Circus fruits" di New York. "Franky boy" era in contatto con i boss di Palermo, in particolare con Antonino Rotolo tramite Nicola Mandalà, mafioso di Villabate, detenuto e già condannato per mafia, e Gianni Nicchi, latitante, ritenuto un sicario di Cosa nostra. I due palermitani in passato sono stati a New York dove hanno incontrato più volte Calì, che al loro ritorno a Palermo hanno indicato al capomafia Rotolo come "amico loro".
Filippo Casamento è indicato dall'Fbi "vicino" alla famiglia Inzerillo. Rientrato illegalmente nel 2004 negli Stati Uniti, fino adesso ha vissuto sotto falso nome in America. È accusato dell'omicidio di Pietro Inzerillo, assassinato nel New Jersey nel gennaio 1982.
Le indagini avviate negli Stati Uniti hanno evidenziato un forte collegamento con boss di Palermo, in particolare con Giovanni Inzerillo, figlio di Totuccio ucciso durante la guerra di mafia, che secondo Casamento, intercettato, "Ormai cammina da solo". Per l'Fbi e gli investigatori dello Sco della polizia di Stato, Casamento sarebbe a conoscenza di traffici di droga che sarebbero stati avviati con i trafficanti Salvatore Miceli e Roberto Pannunzi, il primo ancora latitante in Sud America e il secondo attualmente detenuto.

07/02/2008
Fonte: La Sicilia

Chi è Mandalà...

PALERMO - Il mafioso Nicola Mandalà, a partire dal 2003, aveva attivato canali e contatti con i boss del mandamento palermitano di "Passo di Rigano", che da sempre ha avuto collegamenti con le famiglie americane della Lcn (La Cosa nostra). È quanto emerge dall' inchiesta Old Bridge.
Questi contatti, secondo gli inquirenti, avevano il fine di elaborare e perseguire una strategia di riammissione di alcuni boss che negli anni '80 erano fuggiti da Palermo per scampare alla guerra di mafia scatenata da Totò Riina, e rifugiarsi negli Stati Uniti.
Fra gli "scappati" vi erano gli Inzerillo, i quali, dopo un lungo periodo trascorso "in esilio" sarebbero stati fatti ritornare in Sicilia e riammessi negli affari dei boss palermitani, in particolare nel traffico di droga.
Gli investigatori non hanno accertato se Mandalà fosse stato autorizzato da Provenzano, con il quale il mafioso aveva nel 2003 un rapporto molto stretto perchè ne gestiva la latitanza, oppure se è stato spinto dal capomafia Salvatore Lo Piccolo.
Di certo Mandalà ha effettuato diversi viaggi negli Stati Uniti dove ha incontrato Frank Calì e altri affiliati al clan degli Inzerillo di New York sospettati dall'Fbi di essere coinvolti in traffici di droga.


07/02/2008
Fonte: La Sicilia

Operazione Old Bridge

PALERMO - Una vasta operazione antimafia è in corso fra l'Italia e gli Stati Uniti da parte della polizia di Stato e degli agenti del Federal bureau of investigation. I provvedimenti di fermo sono stati disposti dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e dai magistrati della procura distrettuale di New York. Sono circa 80 gli arresti disposti dai magistrati nell'ambito dell'inchiesta, denominata Old bridge, che riguarda esponenti delle famiglie mafiose palermitane, già coinvolti in vecchie inchieste su traffici internazionali di stupefacenti tra l'Italia e gli Stati Uniti. Dall'inchiesta emerge che alcuni di loro hanno riallacciato relazioni sul territorio americano, in particolare con personaggi inseriti nella famiglia mafiosa americana degli Inzerillo-Gambino. Le indagini sono condotte dal Servizio centrale operativo della polizia di Stato e dalla Squadra mobile di Palermo, coordinati dalla Dda e dalla procura nazionale antimafia. L'inchiesta "Old bridge" di competenza italiana riguarda esponenti mafiosi in collegamento con gli americani sui quali stanno indagando l'Fbi coordinati dai magistrati della procura distrettuale di New York. A Palermo la squadra mobile e il Servizio centrale operativo hanno eseguito circa venti ordini di fermo disposti dalla Dda, mentre a New York sono stati effettuati 60 arresti. I magistrati della procura distrettuale di New York hanno ordinato l'arresto di Frank Calì, ritenuto il nuovo capomafia della famiglia Gambino. Il boss, secondo le indagini, è da alcuni anni in contatto con i mafiosi palermitani che facevano capo a Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. L'analisi dell'Fbi sui flussi finanziari riferibili al gruppo mafioso di New York Calì-Inzerillo, ha consentito di individuare numerose società americane che operano nel settore delle costruzioni e della distribuzione di prodotti alimentari, per un giro d'affari di milioni di dollari. Al centro della complessa struttura societaria riferibile a Frank Calì, di origini palermitane, indicato come un capomafia della famiglia Gambino di New York, e di molteplici flussi finanziari e bancari, secondo l'Fbi vi sarebbe uno studio legale di Brooklyn. L'indagine finanziaria del Federal bureau of investigation evidenzia alcuni collegamenti con l'Italia e boss palermitani, ma in particolare mostra un ruolo importante che avrebbe avuto lo studio legale di Brooklyn che gestisce le transazioni finanziarie e le attività di intermediazione connesse all'acquisto di immobili, al controllo di numerose società per conto di Frank Calì e di altri indagati che fanno parte del clan di "Franky boy". Il ruolo di "amministratore" degli interessi delle famiglie mafiose Gambino e Colombo da parte dello studio legale di Brooklyn, era emerso in diverse indagini dell'Fbi, in particolare quelle fatte sul conto di Tommaso Gambino, di 34 anni, detto Tommy, figlio di Rosario, il boss siciliano imputato nel processo "Pizza connection". Per l'Fbi Tommaso Gambino appare come un importante "manager finanziario" che opera tra l'Europa e gli Stati Uniti. L'uomo è cittadino italiano e statunitense, ed è ritenuto un personaggio di notevole spessore criminale che fa parte di una famiglia di narcotrafficanti inserita nella Lcn (La Cosa nostra) denominata "Milano" che opera a Los Angeles. Secondo gli investigatori i Gambino avrebbero pure avviato un vasto traffico di ecstasy, costituendo una società di copertura in Spagna.

07/02/2008
Fonte: La Sicilia

Minacce per un imprenditore

LICATA (AGRIGENTO) - Giovanni Marotta, 32 anni, titolare di un'azienda agricola in contrada De Susino, a Licata, ha trovato il pavimento della casa di campagna cosparso di liquido infiammabile e un biglietto di minacce. Per i carabinieri che stanno indagando potrebbe trattarsi di una intimidazione del racket delle estorsioni.
Fonte: La Sicilia

L'agenda di Borsellino

PALERMO - È a una svolta l'indagine della procura di Caltanissetta sulla scomparsa dell'agenda del giudice Paolo Borsellino, sparita dalla borsa del magistrato il giorno della sua morte, il 19 luglio del 1992. Il gip Ottavio Sferlazza ha ordinato ai pm l'iscrizione nel registro degli indagati del tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli. L'ufficiale, che all'epoca aveva il grado di capitano, deve rispondere di furto aggravato dall'avere agevolato la mafia. Il fascicolo relativo alla scomparsa dell'agenda, da cui secondo i familiari e i colleghi Borsellino non si separava mai, era rimasto per anni a carico di ignoti.

Il militare compare in molte immagini di repertorio, negli istanti successivi la strage di via d'Amelio, con in mano la valigetta del magistrato. La borsa di cuoio venne ritrovata nella macchina distrutta dall'esplosione dopo alcune ore: dentro, però, non c'era più l'agenda.
Il diario su cui Paolo Borsellino segnava fatti, riflessioni e appuntamenti dei mesi che hanno preceduto la strage, è tra i fatti al centro della indagine sui cosiddetti mandanti occulti dell'omicidio aperta dalla procura nissena. Secondo gli investigatori proprio nelle pagine scritte da Borsellino potrebbe essere stata indicata la verità sull'attentato Arcangioli è stato inizialmente indagato per false informazioni al pm, mentre l'indagine sul furto dell'agenda era rimasta a carico di ignoti.
Il gip, a luglio e a novembre, in seguito a due distinte richieste di archiviazione dell'inchiesta sulla sottrazione del documento, presentate della procura, aveva ordinato nuove indagini. La scorsa settimana, poi, Sferlazza ha imposto ai pubblici ministeri della dda l'iscrizione di Arcangioli per furto aggravato; contestazione che esclude l'imputazione di false informazioni al pm, ipotizzabile solo a carico dei testimoni.
La procura ha notificato al militare, che ora insegna alla scuola allievi ufficiali a Roma, l'avviso di conclusione delle indagini, atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio. Oltre all'aggravante dell'avere agevolato la mafia il procuratore facente funzioni Renato Di Natale contesta ad Arcangioli "l'avere sottratto cose esposte alla pubblica fede e l'avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da ostacolare la pubblica difesa".
Nelle riprese tv - che hanno poi determinato i principali sospetti degli investigatori - si vede Arcangioli allontanarsi velocemente dal luogo della strage con la borsa e andare, verso la fine di via D'Amelio, in una direzione, che secondo i magistrati, non sarebbe giustificata nè dalla presenza di soggetti istituzionali, nè da motivi investigativi.
Il dubbio è che l'ufficiale si sia recato in un punto preciso per consegnare l'agenda a qualcuno. La certezza è che quando la valigetta è ricomparsa nell'auto il diario non c'era più.
"Siamo stupefatti. Di questo procedimento sappiamo solo che ci sono state due richieste di archiviazione". Così gli avvocati Diego Perugini e Sonia Battagliese, legali del tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, commentano l'iniziativa del gip di Caltanissetta Ottavio Sferlazza. "Apprendiamo dalla stampa - hanno aggiunto - circostanze che dovremmo conoscere da altre fonti. Ci riserviamo un parere quando avremo una comunicazione ufficiale".

Fonte: La Sicilia

mercoledì, febbraio 06, 2008

Sequestri per 300mln di euro

PALERMO - I giudici del tribunale sezione misure di prevenzione di Palermo hanno ordinato il sequestro di beni riconducibili a boss di Cosa nostra, per un valore complessivo di circa 300 milioni di euro. I provvedimenti sono sei e riguardano i capimafia dei mandamenti mafiosi di Pagliarelli, Noce, Malaspina-Cruillas, Bocca di Falco e le famiglie di Torretta, Carini e Castelvetrano.
Tra i destinatari del provvedimento vi è anche il boss Antonino Rotolo, arrestato nel giugno 2006 nell'ambito dell'operazione "Gotha". Il sequestro ha riguardato 14 società, 102 immobili, 10 automobili e 44 rapporti bancari e polizze assicurative. I sequestri sono stati eseguiti dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Palermo. Le indagini economico-patrimoniali del Gico, coordinate dalla Procura, hanno permesso di accertare, tra l'altro, una forte sproporzione tra l'ingente patrimonio individuato e i redditi dichiarati dai componenti dei nuclei familiari.
Il "tesoro" era intestato a una serie di prestanome, alcuni dei quali risultano indigenti all'anagrafe fiscale. "E' un colpo durissimo, che vale probabilmente quanto la cattura di un grande boss e forse di più", commenta il ministro dell'Interno, Giuliano Amato. "Sono convinto - dice Amato - che questa sia la strategia vincente: sottrarre alla mafia i suoi beni significa colpirla nei suoi organi vitali, mettendone in crisi tutta l'organizzazione. È anche motivo di soddisfazione l'ennesima testimonianza dell'unità dello Stato in questo sforzo contro la mafia, dalla magistratura alla Guardia di Finanza e a tutte le Forze dell'ordine".

05/02/2008
Fonte: La Sicilia

Sospeso per "pizzo"

PALERMO - "Nell'ultima settimana di gennaio Confcommercio Palermo ha sospeso un suo associato che potrebbe essere invischiato in vicende di racket". La rivelazione è del presidente regionale della stessa associazione, Roberto Helg, a margine di un incontro che si sta tenendo a Palermo, per rilanciare la campagna nazionale antiracket di Confcommercio.
"Non so se pagasse veramente il pizzo - ha spiegato Helg -, questo sarà la magistratura ad accertarlo, ma abbiamo preso questo provvedimento dal momento che abbiamo chiesto a tutti di collaborare con gli inquirenti e questa persona non ha dato la sua disponibilità. Ci auguriamo comunque che possa dimostrare nel tempo la sua estraneità. Nel 2005 Confcommercio si è data delle regole ferree, rispetto alle quali non saranno fatti passi indietro".
Ai cronisti che chiedevano se il commerciante sospeso figurasse fra quelli citati nei pizzini dei boss Lo Piccolo, il presidente di Confcommercio non ha confermato la circostanza, precisando comunque che si tratta di "un imprenditore di tutto rispetto. L'unico - ha ribadito - che non ha dato la disponibilità a collaborare".
"Quella di oggi è una giornata importante per la lotta al racket dal momento che alle dichiarazioni di intenti sono seguiti i fatti", ha commentato il questore di Palermo, Giuseppe Caruso. "In città c'è qualche sintomo di risveglio - ha aggiunto -, adesso gli imprenditori si sentono più protetti, e noi stiamo facendo di tutto per tutelarli adeguatamente".
Fonte: La Sicilia

martedì, febbraio 05, 2008

Chiesto il processo per Mori e Obinu

Processare il prefetto Mario Mori e il colonnello dei carabinieri Mauro Obinu per la mancata cattura, nel 1995, di Bernardo Provenzano. La richiesta, che segue l'avviso di conclusione delle indagini, è stata avanzata dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Nino Di Matteo: favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, e segnatamente a Bernardo Provenzano, l'ipotesi d'accusa. Il "capo dei capi", come dichiarato da un mafioso confidente, Luigi Ilardo, doveva infatti partecipare ad un summit in una masseria di Mezzojuso, in provincia di Palermo. Ma per il pm, i due investigatori (che sono poi passati al servizio segreto civile) "hanno omesso" di organizzare un adeguato servizio che consentisse l'arresto di Provenzano in occasione dell'incontro con altri boss "il 31 ottobre 1995 a Mezzojuso". Mori e Obinu (difesi dall'avvocato Piero Milio) hanno respinto l'accusa, producendo anche il risultato di indagini in cui si dimostrerebbe che la loro azione non è mai stata tesa a commettere i reati ipotizzati dalla Procura.
Secondo l'impianto accusatorio, Ilardo aveva raccontato riservatamente al colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che Provenzano era solito utilizzare una masseria nelle campagne di Mezzojuso per summit con altri mafiosi, e che proprio il 31 ottobre 1995 sarebbe stato lì. Il confidente, inoltre, aveva fatto i nomi di alcuni soggetti mafiosi che in quel momento gestivano la latitanza di Provenzano. L'accusa è che dopo la trasmissione delle notizie apprese da Ilardo, e trasmesse da Riccio ai suoi superiori dell'Arma dei carabinieri, per "un anno non vennero attivate indagini" né sui luoghi né sui soggetti, né venne comunicato il tutto all'autorità giudiziaria di Palermo che coordinava le indagini per la cattura di Provenzano. Il delitto di Ilardo, ucciso poco prima dell'ammissione al servizio di protezione, è ancora avvolto dal mistero.
La procura di Palermo ha chiesto l'archiviazione per il colonnello dell'Arma, Michele Riccio (era stato denunciato per calunnia da Mori e Obinu) e per il generale Antonio Subranni (nei suoi confronti, secondo la Procura, non ci sono gli elementi per chiedere il processo).
Ai tempi in cui sarebbero stati commessi i fatti di reato, Mori era vice comandante operativo del Ros mentre Obinu era comandante del reparto criminalità organizzata del Raggruppamento. Agli atti dell'inchiesta c'è, tra l'altro, una consulenza tecnica sui luoghi in cui sarebbero avvenuti i summit mafiosi, e la documentazione conservata presso la segreteria particolare del procuratore di Palermo, a quei tempi era Gian Carlo Caselli, con le direttive impartite agli organi investigativi incaricati della ricerca dei latitanti.
Il prefetto Mori, insieme al capitano Sergio De Caprio, è stato assolto per la mancata perquisizione del covo in cui fu catturato Totò Riina il 15 gennaio 1993. Nella motivazione delle sentenza del tribunale di Palermo vennero avanzate critiche sulle modalità operative seguite dai carabinieri dopo la cattura di Riina ma venne escluso il "patto" tra pezzi dello Stato e boss (per tutti: gli incontri tra Mori e l'ex sindaco Vito Ciancimino, condannato per mafia) che avrebbero portato alla fine della latitanza del capo dei "corleonesi".
Fonte: Il sole 24 ore

Inaugurazione all'Università di Catania

«Siamo di fronte ad una vera rivoluzione della società siciliana. Da un lato abbiamo i siciliani che si stanno rendendo conto sempre più che non serve fare il politico per fare politica e prendersi le proprie responsabilità, quindi hanno iniziato a fare antimafia attivamente, dall’altro abbiamo un grandissimo rapporto di collaborazione con lo Stato e le Forze dell’Ordine che ci dà la forza di poter continuare a lottare contro questi prevaricatori. Sono perfettamente consapevole che siamo solo all’inizio di un percorso molto lungo, ma mi sento di essere ottimista perché questi sono fattori strutturali veramente nuovi».
Queste sono state le parole di Ivan Lo Bello, il presidente di Confindustria Sicilia, intervenuto all’inaugurazione dell’anno accademico 2008-2009 della facoltà di Lettere e filosofia di Catania, tenutosi venerdì pomeriggio nell’auditorium dei complesso dei Benedettini. L’incontro si è svolto in due momenti. All’inizio il preside di Lettere e filosofia, Enrico Iachello, ha annunciato il suo progetto di confronto con il territorio. «Occorre ripensare il rapporto che l’università ha con il territorio – ha detto – e credo che oggi siamo pronti a questo processo che ci aiuta anche a ripensare alla nostra offerta formativa e a migliorare i nostri corsi». Il prof. Iachello ha inoltre detto che esistono già degli osservatori che operano sulla strada della collaborazione, come quello sulla storia di Catania, quello sulle scuole e quello sul castello Ursino. Osservatori che spera di potenziare e per cui spera avere l’appoggio dell’assessorato alla Cultura, appoggio che fino adesso, ha detto, è stato negato. All’insegna di questa apertura al territorio si è incentrata la seconda fase dell’incontro. I giornalisti Francesco Merlo e Pietrangelo Buttafuoco hanno moderato una discussione che ha avuto come protagonisti Ivan Lo Bello, l'imprenditore catanese Andrea Vecchio e il commerciante palermitano Vincenzo Conticello. «Lascio la parola a loro – ha detto il preside Iachello – perché loro, i protagonisti di un’importante svolta per il territorio, testimoni di una ribellione concreta contro la mafia, facciano i professori per noi».
Andrea Vecchio e Vincenzo Conticello, noti per il loro coraggio di denunciare le richieste di pegamento del pizzo che hanno ricevuto ed anche di riconoscere in tribunale i loro estorsori, hanno raccontato la loro esperienza, le difficoltà incontrate nei rapporti con la società, l’importanza che ha avuto per loro l’appoggio delle loro famiglie, quali sono state le molle che hanno fatto scattare in loro il meccanismo del coraggio di ribellarsi a dei prepotenti. Due storie diverse, ma che hanno in comune il coraggio e la voglia di non farsi sopraffare. «Stanco della situazione nel 2004 ho denunciato le richieste di pizzo che avevo ricevuto, ma andare a riconoscere il mio estorsore in tribunale era un grande passo. È stata mia figlia a darmi la forza – ci ha raccontato Vincenzo Conticello. – Si era iscritta ad Addio Pizzo e, orgogliosa di aver attaccato per la città degli adesivi con la famosa scritta “un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” è venuta a raccontarmelo. Nello stesso momento io ho trovato la forza di reagire, dovevo avere quella dignità di cui mia figlia andava orgogliosa e riconoscere i miei aguzzini in sede di processo». La storia di Andrea Vecchio è un po’ diversa. La sua lotta alla mafia inizia nel 1982; quest’imprenditore ha trovato il coraggio di lottare un po’ per carattere: «mi definisco un intemperante a cui girano le scatole se qualcuno tenta di sopraffarmi e non un eroe come molti mi hanno appellato». Ma c’è dietro anche una precisa analisi della situazione. Andrea Vecchio, infatti, ha raccontato che ha capito che aveva a che fare con uomini e soprattutto che lui era più forte dei suoi estorsori; anche per questo ha deciso di denunciare. «La prima volta è stata al telefono – ha raccontato – e ho avuto molta paura perché non hanno minacciato solo me ma soprattutto hanno minacciato i miei figli che all’epoca erano ancora piccoli. Quando però, invece di rispondere al telefono ho lasciato rispondere la segreteria telefonica e li ho sentiti in difficoltà nell’avere a che fare un questo mezzo tecnologico, ho capito che ero più forte di loro».
Durante l’incontro il presidente Lo Bello ha voluto fare una differenziazione: «La situazione in Sicilia è variegata – ha detto –. Mentre per esempio a Gela, ci sono 85 tra imprenditori e commercianti che hanno denunciato, a Palermo le denunce si possono contare sulle dita di una mano. In questa città, infatti, il sistema mafioso e la disponibilità a pagare il pizzo sono molto più radicati. Per questo quando vedo persone come Vincenzo Conticello che si ribellano a questo sistema tanto radicato nel territorio, non posso che essere ottimista per il futuro».
Fonte: Step magazine