venerdì, luglio 11, 2008

Sul 41 bis...

Cosa c'è che non va nella norma del 41 bis, quella dei carcere duro per i mafiosi? Qualcosa ci deve essere perché da una parte si moltiplicano gli annullamenti e i provvedimenti dei giudici che trasmigrano i detenuti a un regime carcerario meno stretto, dall'altra gli stessi magistrati sono allarmati per i continui colpi al sistema giustizia, tanto da aver deciso lo stato di agitazione. Ma l'allarme dell'Anm non riguarda ciò che sta accadendo per il 41 bis.


La verità è che piuttosto che arrivare a togliere il 41 bis a detenuti per fatti di mafia anche gravi e trasferirli tout court nei bracci dei detenuti comuni, una parte della magistratura chiede che la norma - in vigore dal 1975 - sia alla fine riformata. A chiederlo con forza, domenica, è un magistrato-simbolo della lotta antimafia: Giancarlo Caselli, oggi procuratore generale a Torino.


«La 41 bis è una norma intrisa del sangue e dell'intelligenza di due grandi magistrati come Falcone e Borsellino, ma nel corso degli anni ha subito un sostanziale depotenziamento», ha detto a Sky Tg24 il procuratore Caselli rilevando che «certamente serve un aggiornamento sulla base delle esperienze acquisite e dei mutamenti avvenuti in questi anni». «La procura generale di Torino - ha aggiunto - ha sempre ricorso contro le revoche del 41bis perché sappiamo tutti che i mafiosi non pentiti in carcere continuano ad avere rapporti strettissimi, a volte anche di comando, con l'esterno».


E del resto si legge in un documento di Giuristi democratici a questo proposito: « In nessun caso le limitazioni all'ordinario regime carcerario possono avere scopo diverso da quello di tipo preventivo, e meno che mai costituire strumento di aggressione alla integrità psico-fisica del detenuto per ottenere confessioni o collaborazioni, di talchè ogni applicazione pratica delle limitazioni previste dall'art. 41 bis peraltro oggi codificate, volte esclusivamente a fiaccare la resistenza del detenuto e a rendere ingiustificatamente più duro, ma non per questo più sicuro, il carcere, deve essere considerata illegittima. A maggior ragione ciò risulta grave se applicato nei confronti di categorie, quali gli oppositori sociali e politici che, per la ricordata indeterminatezza dell'art. 270 bis c.p., possono trovarsi a subire le suddette restrizioni, senza alcuna effettiva ragione di sicurezza».


La necessità di una riforma del 41 bis viene riconosciuta anche da parte dell'attuale maggioranza. «Quella del carcere duro, del 41 bis rigoroso ed efficace è un'emergenza urgente da affrontare se vogliamo davvero sconfiggere la mafia. Penso che in Parlamento si possa trovare un'intesa ampia e condivisa tra maggioranza ed opposizione per migliorare la normativa», afferma anche Carlo Vizzini del Pdl. «Nel 2002 introducemmo la stabilizzazione del regime carcerario insieme ad un nuovo rigore, fiaccato nel tempo da interpretazioni eccessivamente garantiste da parte dei tribunali di sorveglianza (37 annullamenti in 6 mesi). Il ministro Alfano lavora egregiamente esaminando e firmando con riserbo e rigore le nuove applicazioni, ma la normativa va resa più esplicita soprattutto sull'onere della prova della pericolosità dei detenuti. Carcere duro efficace e confisca dei patrimoni aggiunti all'azione di magistrati e forza dell'ordine - conclude - sono gli elementi per una vittoria contro le mafie oggi possibile».


A scandalizzarsi sono invece i familiari delle vittime. Ma soprattutto per gli annullamenti del carcere duro. «Siamo allo scandalo allo stato puro: sono anni che lanciamo allarmi contro l`abolizione del 41 bis, non è importato niente a nessuno delle stragi del 1993 in questo maledetto Paese le hanno volute tutti quanti». È il j'accuse di Maggiani Chelli dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili sul passaggio di numerosi boss mafiosi dal regime carcerario previsto dall'art.41 bis a quello di detenuti comuni.


«Il passaggio da 41 bis a carcere normale di Gioachino Calabrò afferma Maggiani Chelli che diede ordine a Giuseppe Ferro Capo Mandamento di Alcamo di andare a Prato dal cognato Messana, di far preparare nel suo garage il pulmino imbottino di 300 chili di tritolo per portalo poi in via dei Georgofili, non lo capiremo mai», insiste Chelli. «Agiremo come meglio riterremmo opportuno, anche con la protesta di piazza, - conclude - se nelle prossime ore non avremmo chiari segnali che il Governo sta prendendo provvedimenti sul fronte del 41 bis per i mafiosi rei di strage».


Ma il problema forse va posto in altri termini, e non in mano ai familiari delle vittime con il loro legittimo rancore verso gli assassini: serve il 41 bis a far si che capi mafiosi non comunichino con l'esterno e non riescano più a tirare le fila dei loro affari lordi di sangue e violenza? Non si potrebbe passare da una legislazione emergenziale in aperto contrasto con l'impianto garantista del sistema a una riforma "normale" del codice di procedura penale? Il dibattito, aperto già prima delle elezioni, putroppo cozza con il clima che sulla giustizia si sta innescando tra governo e magistratura. Oltre che tra maggioranza e opposizione. 

Fonte: L'unità

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