martedì, novembre 18, 2008

Fermiamoci a pensare un attimo...

Una grande holding con un “fatturato” complessivo di 130 miliardi di euro e un utile che sfiora i 70 miliardi, al netto degli investimenti e degli accantonamenti. È la Mafia spa, prima azienda italiana per fatturato ed utile netto, ed una delle più grandi per addetti e servizi. Il solo ramo commerciale della criminalità mafiosa e non, che incide direttamente sul mondo dell’impresa, ha ampiamente superato i 92 miliardi di euro, una cifra intorno al 6% del PIL nazionale. Ogni giorno una massa enorme di denaro passa dalle tasche dei commercianti e degli imprenditori italiani a quelle dei mafiosi, qualcosa come 250 milioni di euro al giorno, 10 milioni l’ora, 160 mila euro al minuto. Queste cifre da capogiro sono elencate nell’undicesimo rapporto di SOS Impresa-Confesercenti “Le mani della criminalità sulle imprese”, presentato oggi a Roma. Cresce il settore dell’usura, che colpisce circa 180 mila commercianti. E cresce il peso economico della contraffazione, del gioco clandestino, delle scommesse e dell’abusivismo (il cui giro di affari è attorno ai 10 miliardi annui). Ma le mafie si infiltrano in importanti segmenti di mercato, dalla macellazione ai mercati ittici, dalla ristorazione ai forni abusivi e panifici illegali, dal settore turistico ai locali notturni, fino al “racket del caro estinto”, che colpisce il settore dei funerali. Si estende l’area della “collusione partecipata”, che investe il Gotha della grande impresa italiana, focalizzando l’attenzione sui possibili intrecci mafia e segmenti della grande distribuzione. “Vogliamo evidenziare - si legge nel rapporto - il diffondersi, tra alcuni imprenditori, di una doppia morale, per la quale ci si mostra ligi alle regole dello Stato e del mercato quando si opera al centro-nord Italia, e con molto disinvoltura ci si adegua alle regole mafiose se si hanno interessi nel sud Italia. Un comportamento censurabile che rappresenta un riconoscimento della sovranità territoriale alle organizzazioni mafiose, a danno dei principi di leale concorrenza e di liberta’ di impresa”. Mafia SpA controlla i traffici illegali detenendo quote di maggioranza nelle “famiglie”, nei “clan” e nelle “‘ndrine” che trafficano in droga, esseri umani, armi e rifiuti, nonché nel racket delle estorsioni e, in parte, nell’usura. Le sue aziende, quasi sempre a conduzione familiare, ma con stringenti logiche aziendali, intervengono anche nell’economia legale, ora direttamente assumendo il controllo maggioritario, ora in compartecipazione con negozi, locali notturni, imprese edili o della grande distribuzione. Quattro le grandi holding company nelle quale è suddivisa: Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. Ciascuna di esse, a loro volta, si suddividono in societè piccole e medie, autonome l’una dall’altra, ma con uno stesso modello gerarchico. L’attività imprenditoriale delle mafie ha prodotto un’organizzazione interna tipicamente aziendale, con tanto di manager, dirigenti, addetti e consulenti. Prima di tutto, le attività criminali da casuali sono diventate permanenti, quotidiane. La gestione delle estorsioni, dell’usura, dell’imposizione di merce, dello spaccio di stupefacenti, necessita di un organico in pianta stabile, che ogni giorno curi la riscossione del “pizzo”, allarghi la “clientela”, diversifichi le “opportunità”, conosca e tenga a “bada” la concorrenza, salvaguardi regolare la sicurezza dell’organizzazione dai componenti “infedeli” o dal controllo delle forze dell’ordine, gestisca e reinvesta il patrimonio. Il Capo-cosca funge da Amministratore delegato e deve rendere conto periodicamente ai “soci” dell’andamento economico e finanziario dell’azienda-clan, e discutere con essi le strategie “aziendali”, condividere le operazioni e gli investimenti piu’ rilevanti, nonché risolvere le questioni interne all’azienda-clan, che potrebbero minarne la compattezza e la solidità. I clan, attenti alle proprie “risorse umane”, riconoscono premi di produzione ai “picciotti” ed, in alcuni casi, pagano addirittura gli straordinari. L’interesse delle organizzazioni mafiose non riguarda solo i settori su cui c’è ormai una consolidata letteratura, quali comparti privilegiati di investimento (edilizia, smaltimento dei rifiuti, commercio, autotrasporto): i mafiosi sono in grado di condizionare ampi comparti economici, da quello immobiliare alla sanità, dai servizi alle risorse idriche. Le organizzazioni mafiose anche segmentando il loro ruolo sono in grado di condizionare tutta la filiera agroalimentare: dalla produzione agricola all’arrivo delle merce nei porti, dai mercati all’ingrosso alla grande distribuzione, dal confezionamento alla commercializzazione. Il fatturato del mercato ittico attira fortemente le organizzazioni criminose, che sempre piu’ necessitano di introiti oltre che sicuri anche redditizi. E’ calcolato infatti attorno ai 2 miliardi il fatturato del settore (escludendo il fatturato della pesca di frodo) con un totale di oltre 8.500 esercizi al dettaglio coinvolti. Nel napoletano si contano 1.300 forni abusivi (nel solo comune di Afragola vi sono 17 panifici legali e 100 illegali) dove si usa qualsiasi tipo di combustibile, 2.500 panifici illegali, il prezzo si aggira su 2.00/2.50 euro al chilo, a fronte di 1.80/2.00 euro di quello legale, eppure è il più venduto, la domenica mattina le file sono interminabili. Si calcola che il business si aggiri sui 500 milioni di euro. Chi acquista queste pagnotte non solo le paga più del prezzo corrente, ma corre anche seri rischi per la salute. Nei forni abusivi infatti viene bruciato di tutto: dal legno laccato agli scarti di falegnameria, infissi, mobili e, in alcuni casi, il legno delle bare, dopo la riesumazione dei cadaveri. E se questi sono i combustibili, figuriamoci le farine usate. In questi ultimi anni il peso della criminalità diffusa è cresciuta sia come numero dei reati che come costi che la collettività interaè costretta a sopportare, conclude il rapporto di SOS Imprese. Nell’anno passato tutti i reati predatori sono aumentati e le rapine, il reato più pericolo e odioso, alla fine del 2006 hanno superato quota 50.000 con un trend di crescita che non conosce interruzione da almeno un decennio.



Fonte: Panorama

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