sabato, agosto 29, 2009

Anniversario Grassi

Palermo, 29 ago. - Per la prima volta sono stati decine gli imprenditori e i commercianti palermitani, e non solo, che oggi hanno partecipato in via Alfieri, a Palermo alla commemorazione dell'uccisione dell'imprenditore Libero Grassi. Gli imprenditori, in forma anonima, si sono uniti ai famigliari di Libero Grassi e alle istituzioni locali. Presente anche il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, oltre alle autorita' civili e militari.
Nel luogo dell'agguato la famiglia, come fa da 18 anni a questa parte, ha sistemato un cartello scritto a mano: "Il 29 agosto 1991 -si legge- qui e' stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall'omerta' dell'associazione degli industriali, dall'indifferenza dei partiti e dall'assenza dello Stato".
Adesso il sottosegretario Mantovano insieme con il commissario straordinario antiracket Giosue' Marino e altre autorita' ha raggiunto via Roma dove incontrera' alcuni commercianti che hanno deciso di dire no al pizzo.

Fonte: Adnkronos

martedì, agosto 25, 2009

Saviano in Sicilia

CINISI (PALERMO) - Mercoledì prossimo alle 21 Roberto Saviano, l'autore di "Gomorra", sarà a Cinisi (in provincia di Palermo) per presentare il libro "Resistere a mafiopoli" di Giovanni Impastato, fratello di Peppino, il militante di Democrazia proletaria ucciso dalla mafia nel '78. L'incontro si svolgerà nella pizzeria della famiglia Impastato che si trova al chilometro 288 della Statale 113 che collega Cinisi con Villagrazia di Carini. "E' la prima volta - dice Giovanni Impastato - che, dopo il successo di Gomorra, Roberto Saviano viene in Sicilia. Nel corso della serata con lo scrittore parleremo dei rapporti tra mafia e politica e della necessità di difendere dagli attacchi diffamatori tutti i caduti della lotta contro la mafia".
24/08/2009
Fonte: La Sicilia

giovedì, agosto 20, 2009

Rubrica estero

La cittadina di Partinico si trova in Sicilia, in provincia di Palermo. Ancora oggi la zona è sotto il controllo della mafia. A chi si oppone alla potente “impresa di famiglia” la vita viene resa assai difficile. Per questo l’omertà sugli affari della mafia è all’ordine del giorno per gli abitanti di Partinico. Uno che a tacere non ci pensa proprio è il 55enne Pino Maniaci, giornalista di una TV locale. Da dieci anni parla di pizzo, scandali economici e attacchi del clan Vitale, la più potente famiglia mafiosa della zona. Ogni giorno va in onda per un’ora sulla piccola emittente Telejato, sostenuto e aiutato dall’intera famiglia. La figlia 23enne Letizia lavora già da otto anni con il padre e racconta a jetzt.de qual è il suo ruolo nella battaglia contro la mafia, quanto è pericoloso il suo lavoro e perchè non vorrebbe mai farne uno diverso.

jetzt.de: Letizia, quand’è che hai sentito per la prima volta che la mafia siciliana poteva influenzare anche la tua vita? Già da bambina?

Letizia: Per fortuna ho avuto un’infanzia felice - perché allora non lavoravo ancora per Telejato. Sono anche andata a scuola come tutti gli altri. Ma quando più tardi il figlio minore di Vito Vitale, il boss di Partinico, ha attaccato mio padre, ho avuto la sensazione che la mafia siciliana poteva rendere difficile anche la mia vita. E non è stato diverso quando l’auto di mio padre è improvvisamente bruciata.

Quando avevi 15 anni hai iniziato a lavorare per la TV locale di tuo pare. Allora lo ammiravi per il suo coraggio?

Per me non era un idolo, ma ero molto orgogliosa di lui, come lo sono oggi. Ero molto giovane quando ho iniziato a lavorare con lui. All’inizio l’ho vissuto come una specie di gioco. Ma dopo poco tempo era già diventata una passione, come per mio padre. Ora è un lavoro vero, un lavoro che voglio fare per tutta la vita.

La tua rabbia per i cattivi era allora forse maggiore della paura che avevi di loro?

All’inizio ero piuttosto tranquilla perché non mi ero ancora resa conto di cosa significasse lavorare per Telejato. Da quando mio padre è stato attaccato dalla mafia per la prima volta rabbia e paura convivono. Ma non so dire quale dei due sentimenti sia più forte.

Qual è stato il massimo risultato che hai conseguito finora con Telejato?

Sono orgogliosa di ogni piccola battaglia vinta! L’importante, per me, è sensibilizzare e informare ogni giorno i nostri telespettatori su quale grosso problema la mafia rappresenti per noi. E su cosa significa combatterla.

Cosa bisogna fare per indebolire veramente la mafia siciliana?

Il più grande obiettivo che voglio raggiungere nei prossimi anni è il passaggio della nostra emittente al digitale. Per indebolire veramente la mafia dobbiamo semplicemente continuare a vincere le nostre paure e ovviamente trovare la forza di cui abbiamo bisogno per la battaglia.


Com’è la tua giornata tipo a Partinico? Sei sempre sotto scorta della Polizia?

La mia giornata inizia di solito verso le 9. Vado in un bar dove incontro la mia famiglia e i collaboratori, poi esco, giro piccoli filmati, realizzo foto e interviste per il nostro telegiornale. Poi c’è il lavoro di editing in ufficio. Quando è finito il tg pranziamo, poi altri servizi e interviste. Dopo, almeno io ci spero sempre, ho un po’ di tempo libero per me. Ma detto sinceramente: i poliziotti si occupano di più della sicurezza di mio padre che di me. Lui ne è circondato, io non tanto.

La tua famiglia viene continuamente attaccata dalla mafia. Per combatterla vale la pena di mettere in gioco le vostre vite?

Questo ce lo chiediamo anche noi ogni giorno, e la risposta è sempre sì.

Pensi che un giorno potresti lasciare la Sicilia, se la mafia ti costringesse?

No, non lascerei mai la Sicilia. Nemmeno se ci fossi costretta.

Anche i tuoi amici devono temere la mafia?

Cerco sempre con tutte le mie forze di garantire che loro non si debbano preoccupare.

Anche tua madre Patrizia, che ha 43 anni, e tuo fratello Giovanni di 21 lavorano per Telejato. Ti piacerebbe che anche tua sorella Simona, 15 anni, si unisse a voi?

Sì, me lo auguro. E’ una cosa positiva quando tutta la famiglia lavora insieme.
Che futuro avete in mente per il progetto Telejato?

Il mio sogno è che Telejato diventi qualcosa di più di un’emittente locale, che ci sia un miglioramento dal punto di vista tecnico e anche un maggior numero di collaboratori. Questo mi renderebbe molto felice. Inoltre sono molto contenta che le news di Telejato siano seguite ogni giorno da un grande pubblico internazionale grazie al nostro sito telejato.it. E sono orgogliosa del mio libro “Mai chiudere gli occhi” uscito per pubblicato da Rizzoli.

Fonte: italiadallestero

Si riapre tutto...

Il brulicare crescente di informazioni che i politici, non si sa bene perché, iniziano a dare solo oggi, dopo l’annuncio di Massimo Ciancimino (che parla invece ai magistrati da più di un anno) di consegnare ai pm di Palermo: il sostituto Nino Di Matteo e l’aggiunto Antonio Ingroia, i documenti del padre con il famoso “papello”. Il foglio scritto da Riina, o per sua interposta persona, con le sue richieste allo Stato in cambio della fine delle bombe del ‘92. Un susseguirsi di notizie, dichiarazioni, colpi di scena che stanno creando fermento intorno al coinvolgimento di apparati istituzionali nella trattativa avviata nel 1992 tra lo Stato e Cosa Nostra e il ruolo di questi nella strage di via Mariano d’Amelio. Un capitolo che vede al centro Massimo Ciancimino il quale continua a mantenere fede alla sua promessa di dire la verità. Una verità che - ci ha subito confessato durante il nostro recente incontro - lo sta esponendo a ritorsioni di ogni genere e tipo. Tanto che è stato costretto a traslocare in un albergo dove vive barricato in una stanza. Non molto tempo fa il comitato per l’ordine e la sicurezza gli aveva affidato una tutela richiesta dalla Procura della Repubblica di Bologna costituita da due uomini in borghese che lo accompagnano nei suoi spostamenti. Una protezione comunque superficiale, certamente non all’altezza della portata delle dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco di Palermo che, “riconoscendo lo sforzo” dei suoi “protettori”, noleggerà una macchina blindata: “Devo proteggere mia moglie e mio figlio quando viaggio con loro”. E ancora, fortemente preoccupato, ci dice: “Temo di non arrivare al processo Dell’Utri”. Un processo in cui in tutta probabilità (i giudici si sono riservati di decidere) sarà chiamato a deporre il 17 settembre prossimo. Il timore di Massimo Ciancimino non è dovuto alla sua ansia, né al suo protagonismo, nasce invece da altre forme di minacce ricevute da soggetti neppure troppo anonimi. Ma di questo lui non vuole parlare. Ci sono in gioco interessi troppo alti che non devono essere toccati. Di recente rispondendo alle domande dei pm aveva detto “è un gioco più grande di me”. Ci sono equilibri che destabilizzerebbero l’attuale potere politico, nato proprio in quegli anni di stragi e contrattazioni, quando l’era di “Tangentopoli” aveva rastrellato i vecchi partiti storici collusi e corrotti. Fu lì che Cosa Nostra sferrò il suo attacco allo Stato per dare un segnale a quella certa classe politica che non era riuscita a garantire a dovere alcune promesse. Per questo venne ucciso Lima poi Falcone. Ma lo Stato invece di mostrare il suo pugno di ferro intavolò quella che per tutti è diventata la “Trattativa”. Quel dialogo tra mafia e istituzioni che in realtà, secondo la testimonianza di Ciancimino junior, ebbe tre fasi.

La prima. Quella che - a differenza di quanto sostiene oggi l’on. Mancino – venne avviata dal Ros, quando a fine giugno ’92 il capitano De Donno contattò, durante un viaggio aereo Palermo – Roma, Massimo Ciancimino per chiedergli di convincere suo padre a incontrare il gen. Mario Mori e poter effettuare uno scambio con Riina. Lo svolgimento di questa prima fase lo si conosce dalle varie ricostruzioni processuali. Vito Ciancimino si rese disponibile sperando di poter ottenere qualche beneficio per la sua detenzione e lo stesso Riina accettò di buon grado quel primo passo. Da lì la sua frase “si sono fatti sotto” e la realizzazione di un “papello” pieno di richieste che lo stesso Sindaco di Palermo aveva ritenuto inaccettabili. Ed è proprio in questo momento che qualcuno, in alto, molto probabilmente all’interno dei servizi o per mandato dei cosiddetti poteri forti, convinse Riina ad accelerare i tempi e mettere a punto la strage di Via d’Amelio. Per sbloccare il dialogo e per eliminare un ostacolo scomodo e pericoloso: Paolo Borsellino.
La seconda fase della trattativa è quella dell’autunno ’92 che vide subentrare Provenzano, finora rimasto spettatore. Binnu, riprendendo in segreto il dialogo con i carabinieri attraverso Vito Ciancimino, condusse questa parte di trattativa facendo di Riina il suo oggetto di scambio. Chi in effetti avrebbe potuto rivelare a Vito Ciancimino il nascondiglio del padrino che egli stesso indica nelle mappe di Palermo procurate dai Carabinieri? Il capo dei corleonesi venne così catturato, in cambio di nuovi accordi, nel gennaio del ’93 ma, nonostante il Ros avesse individuato il covo (nel quale avrebbe potuto trovare documentazione importantissima) i carabinieri guidati da Mori trascurarono la casa di via Bernini, rimasta priva di sorveglianza per 18 giorni. Il tempo sufficiente agli uomini di Cosa Nostra per ripulire la villa di ogni carteggio compromettente e per trasferire la famiglia del capomafia a Corleone.
Di qui sarebbe poi partita anche una terza trattativa: quella che ha visto Provenzano scavalcare anche Vito Ciancimino nei rapporti con le istituzioni. Il Ragioniere di Cosa Nostra infatti era in cerca di referenti politici in grado di garantirgli impunità e agevolazioni legislative per quella che sarà la nuova mafia del dopo stragi. Interlocutori credibili che secondo i collaboratori di giustizia più accreditati, come Nino Giuffré, Provenzano trova nel nascente partito politico di Forza Italia cui sarebbe giunto, tramite Marcello Dell’Utri, già vecchio amico di Cosa Nostra sin dagli anni Settanta. (Infatti molti collaboratori di giustizia hanno dichiarato che Dell'Utri è amico di Cosa Nostra sin dai tempi di Stefano Bontade e Vittorio Mangano, il famoso stalliere di Berlusconi. Ma è soprattutto Salvatore Cancemi, ex membro della Cupola e ora collaboratore di giustizia, che ascolta, nel 1991 da Riina in persona, le seguenti parole: “Berlusconi e Dell'Utri sono nelle mie mani e questo è un bene per tutta Cosa Nostra). Per la Cosa Nuova il vecchio sindaco risultava infatti già troppo compromesso. Don Vito venne così arrestato a dicembre del ’92 ma non smetterà comunque di essere il consigliere di Provenzano che incontrerà nella sua casa di Roma fino al 2002, durante gli arresti domiciliari. Infatti il nuovo capo di Cosa Nostra è a lui che si rivolgerà per un suggerimento quando nel 1994 dovrà recapitare la lettera con le minacce al neo eletto Silvio Berlusconi tramite Dell’Utri. Intimidazioni preventive che Cosa Nostra invia al Presidente del Consiglio per ricordargli “chi comanda” e che “ci sono dei doveri da rispettare”. La lettera – così come ha raccontato Massimo Ciancimino ai giudici – era stata consegnata nelle sue mani nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo, in presenza dello stesso Lipari e Provenzano. Il compito di Ciancimino jr era dunque quello di farla arrivare a suo padre, all’epoca detenuto a Rebibbia affinché esprimesse il suo parere. Una missiva che era rimasta ai Ciancimino mentre un’altra uguale faceva il suo corso fino a giungere al destinatario finale. Una ricostruzione questa che completa le tesi espresse da diversi collaboratori di giustizia sentiti in tutti questi anni dalle varie Procure e le ipotesi investigative sulle stragi del ’92-’93 le quali più volte si sono fermate, per mancanza di riscontri o per scadenza dei tempi di indagine, al filone delle responsabilità politiche e istituzionali sulle stragi in un periodo che ha segnato il passaggio tra la prima e la seconda repubblica italiana. Restano da capire alcuni punti che il figlio più piccolo di don Vito ci auguriamo potrà chiarire in dibattimento, con un confronto aperto, se i giudici lo riterranno opportuno, con i signori Riina, Cinà o Provenzano. Il capo dei capi intanto, a sorpresa, ha espresso la sua opinione, a modo suo, negando la prima trattativa, quella portata avanti da lui stesso e chiarendo di essere stato venduto da un accordo segreto tra lo Stato e Vito Ciancimino. “Riina discolpandosi dalla strage di via d’Amelio – ha affermato Ciancimino - implicitamente sostiene per la prima volta il suo ruolo in Cosa Nostra e non citando la strage di Capaci non nega di avervi partecipato”. Dunque Riina non parla a caso, le sue accuse tuonano come messaggi: “io non c’entro con la morte di Borsellino” ha detto, “l’hanno ammazzato loro”. La domanda è: loro chi? A chi Riina sta mandando i suoi avvertimenti? E perché alcuni personaggi protagonisti della politica solo oggi rispondono e, molto parzialmente, a domande che avrebbero dovuto avere risposte esaustive subito dopo le stragi?

Fonte: antimafia2000