martedì, ottobre 20, 2009

Rubrica estero

Per togliersi da dosso i giudici il primo ministro italiano Silvio Berlusconi progetta una riforma della giustizia. In questo modo mette in pericolo le efficacissime strategie degli inquirenti contro la mafia. Un rapporto delle proprietà che prima appartenevano all’associazione criminale segreta.

Il premier italiano Silvio Berlusconi vuole rendere più difficili le intercettazioni telefoniche.
SAN SEBASTIANO DA PO.
Quando la pioggia del mattino smette e qualche timido raggio di sole si fa strada attraverso le nuvole, Isabella Spezzano esce dalla porta, cammina sulla ghiaia umida sino al parapetto del terrazzo e guarda a un futuro migliore. “Qui vogliamo piantare 200 alberi di nocciolo ”, dice. La sua mano tesa conduce lo sguardo su un campo che include il pendio davanti alla villa. Prima là c’erano soltanto solitari alberi di fico del precedente proprietario.I noccioli hanno appena fatto arretrare gli alberi di fico, questa è una piccola vittoria di Isabella Spezzano contro coloro che prima abitavano qui, contro quelli della mafia.Per decenni nella villa hanno vissuto i Belfiore, una delle famiglie cardine della ‘Ndrangheta, la mafia calabrese. I Belfiore vivevano qui vicino al paesino San Sebastiano da Po, piuttosto comodamente: la villa su tre piani offre 1000 metriquadrati di superficie abitabile, oltre a due grandi fienili, salici e abbondante terra coltivabile. E le comodità cittadine di Torino distano solo una ventina di chilometri.Ora l’organizzazione “Libera” ha la saga qui nella villa della mafia. Attivisti di Libera come Isabella Spezzano, 23 anni, coltivano le proprietà agricole della mafia espropriate dallo Stato. Togliere ai mafiosi le loro proprietà si è rivelato essere una delle strategie più efficaci contro la criminalità organizzata. Non solo, è spesso motivo di grande scoraggiamento per i gangster più di un soggiorno in galera.

Organizzazioni come “Libera” si prodigano anche affinché ville come quella di San Sebastiano diventino centri dell’opposizione sociale alla mafia.

Queste strategie di successo contro la mafia ora sono messe in pericolo – a causa di Silvio Berlusconi. Il primo ministro italiano alza nuovamente il braccio per colpire giudici e magistrati. Vuole ad esempio limitare le intercettazioni telefoniche: “Permetteremo le intercettazioni telefoniche solo in caso di reati gravi”, ha detto Berlusconi domenica a una manifestazione del suo partito “Popolo delle libertà”.

La Corte Costituzionale italiana ha appena tolto l’immunità a Berlusconi. Il premier deve affrontare numerosi processi contro di lui. Ora si sente perseguitato dalla giustizia – non per la prima volta – e ne vuole ridurre le possibilità di indagine. Questo mette in allarme coloro che danno la caccia alla mafia in Italia. Perche’ la “riforma della giustizia” di Berlusconi minaccia di disturbare sensibilmente la lotta alla Mafia.

Dopo decenni di insuccessi nell’ambito della lotta alla mafia l’Italia ha potuto collezionare successi con regolarità negli ultimi 15 anni. Lo Stato italiano ha confiscato quasi 9000 immobili ai membri dei diversi clan. Anche sotto il governo Berlusconi sono stati arrestati mafiosi di calibro. Il caso più eclatante è stato l’arresto del padrino di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, che gli sbirri hanno acchiappato nell’aprile del 2006 dopo 43 anni di latitanza.

Secondo molti magistrati non è sufficiente poter intercettare solo nei casi di reato mafioso dimostrato. “Non abbiamo mai risolto un singolo caso di mafia perché abbiamo intercettato telefonate indagando su reati mafiosi”, dice il magistrato milanese Alberto Nobili. “Le intercettazioni iniziano di solito con un reato banale, come ad esempio il traffico di droga e solo dopo viene fuori che i trafficanti sono mafiosi”. Giovanni Strangio, il principale imputato per l’omicidio di sei persone a Duisburg nell’estate 2007, è stato acciuffato dagli investigatori solo perché i telefoni di sua moglie e di sua sorella erano sotto controllo.

Ciò potrebbe non essere più possibile se Berlusconi la spuntasse. Altri arresti e espropriazioni come quella di San Sebastiano sarebbero enormemente più difficili da ottenere.

Chi vuole sapere qualcosa della rabbia cieca che coglie i mafiosi sorpresi, deve ascoltare Isabella Spezzano. La giovane e coraggiosa ragazza indossa jeans e pullover blu scuro, abbigliamento che ben si adatterebbe anche al letame di una stalla. Quando la Spezzano si insediò nella villa dei Belfiore per Libera, le si offrì un quadro orrendo. “Qui era pieno di carcasse di animali dappertutto, c’era un puzzo tremendo”, dice mentre guarda verso i campi dietro al granaio che abbisogna di ristrutturazione. “Hanno ucciso volontariamente le pecore e le capre o le hanno lasciate morire”. La sua voce trema continuamente, mentre racconta questo. In casa niente aveva un aspetto migliore. I Belfiore hanno messo fuori uso sia l’impianto idraulico che di riscaldamento, hanno tirato via i cavi della corrente e distrutto il parquet di legno di olivo al pianterreno, prima di andarsene.

Non è un fatto inconsueto che le famiglie di Cosa Nostra in Sicilia, della Camorra in Campania o dell’Ndrangheta in Calabria devastino le loro ville prima di piegarsi alla legge. Ma San Sebastiano con i suoi 1800 abitanti non si trova sulle colline assolate della Sicilia.

La mafia già da tempo ha allungato i suoi tentacoli verso il nord. Secondo l’ultimo resoconto di “SOS impresa” – così si chiama l’associazione di commercianti siciliani che si oppone alle richieste di estorsione della mafia – gli svariati clan formano frattanto una sorta di holding da 130 miliardi di euro di giro d’affari annuo e un guadagno di quasi 70 miliardi di euro.

“La mafia è presente al nord già da molto tempo, va lì dove c’è denaro”, dice Alberto Nobili. Egli era uno dei primi magistrati che ha indagato sui traffici dell’Ndrangheta nel nord Italia. La sua tenacia e quella dei suoi colleghi ha portato a quasi 2500 arresti. Soprattutto nell’edilizia, preferibilmente nei grandi progetti statali, ma anche nel mondo della finanza a Milano la mafia avrebbe le mani in pasta da molto tempo.

Ciononostante la mafia al nord si muove diversamente rispetto al sud. Nel ricco nord non avrebbe in realtà interesse a disturbare i proprietari terrieri con richieste di pizzo, dice Nobili – anche per timore che i commercianti di Milano o Torino denuncino probabilmente una cosa simile: “Qui si concentrano preferibilmente sul traffico redditizio degli stupefacenti”.

Soprattutto la cocaina circola sempre più facilmente, dice Nobili. Un traffico in confronto “pulito”: diversamente dall’eroina non lascia dietro di sé tossicodipendenti deperiti con vene bucate, che abbandonano le siringhe sul luogo dell’assunzione della sostanza. La cocaina è considerata un elisir che aumenta le prestazioni di persone ricche e di successo, che, tra l’altro, hanno anche maggior disponibilita’ finanziarie dei tossicodipendenti da eroina.

Anche i Belfiore si erano specializzati nelle droghe. Piazzisti hanno dichiarato che la famiglia nel corso degli anni ha esportato undici tonnellate di cocaina dal Nordafrica a Torino attraverso la Spagna. Quando il magistrato Bruno Caccia fu sulle loro tracce Domenico Belfiore sentenziò la sua condanna a morte.

Quando Caccia una domenica sera portò fuori il suo cane due killer spararono al sessantacinquenne quattordici colpi da un auto. Con altri tre colpi ravvicinati finirono il lavoro.

Ciò avveniva nel 1983. Sempre nello stesso anno Domenico Belfiore fu arrestato e dieci anni dopo – in quinta istanza e dopo un’assoluzione intervenuta nel frattempo – finalmente condannato. Suo fratello Salvatore si trova dietro alle sbarre per traffico di droga. Un altro fratello di Belfiore è ancora a piede libero per mancanza di prove.

Gli ingranaggi degli oppositori della mafia italiana macinano lentamente, ma macinano. Nel 1997 un tribunale dispose l’espropriazione della villa dei Belfiore sulle colline piemontesi di San Sebastiano. Certo ci sono voluti dieci anni, finchè i genitori di Belfiore si sono piegati alla legge. Solo quando nel 2007 un nuovo sindaco ha aumentato la pressione i Belfiore si sono arresi. Non senza distruggere prima tutto quello che potevano.

Casa e proprietà per un mafioso sono un punto sensibile. “A un mafioso fa più male se gli si tocca il portafoglio che se deve finire in galera. Il carcere è quasi come una medaglia al valore”, dice il magistrato Nobili. E se anche la sua villa poi serve ancora a uno scopo sociale, l’effetto deve essere rinvigorito. “La cosa riguarda il mafioso nel suo prestigio”, dice Davide Mattiello.

Il presidente di “Libera” in Piemonte è un uomo muscoloso in pantaloni neri da carico e con la testa quasi pelata. Mattiello passeggia su e giù nella sala d’aspetto della villa di Belfiore. Dove un tempo c’era il pregiato parquet oggi ci sono semplici mattonelle. Quando parla della lotta alla mafia non riesce a restare seduto sulla poltrona.

“Il vero potere della mafia si basa sul prestigio nella società!” Per questa ragione è così importante portare giovani in questi luoghi dove un tempo hanno vissuto i mafiosi. Lo stesso nuovo nome della villa ricorda i metodi sanguinari dei clan: Mattiello Co. l’hanno battezzata “Cascina Caccia”.

I programmi di visita costituiscono una componente fondamentale della strategia di “Libera”. In estate Isabella Spezzano e i suoi tre paladini hanno ospitato a villa Belfiore complessivamente 400 giovani. Estirpano erbacce dal terreno, dove presto cresceranno gli alberi di nocciolo, riordinano la casa là dove giacevano montagne di ciarpame e vecchi vestiti dell’ex-proprietario e hanno ristrutturato il granaio.

“Qui possono toccare la legalità con le loro mani”, dice Davide Mattiello e con la mano aperta batte contro al muro della grande sala d’aspetto oggi quasi vuota. Una targa sulla parete ricorda l’assassinio di Caccia. Qui alcuni volontari di Libera del campeggio estivo spiegano ai loro ospiti i meccanismi della mafia. Talvolta arrivano gruppi della parrocchia o gli scouts, a volte anche parenti delle vittime della mafia o addirittura magistrati come oratori.

“Libera” vuole informare che vale la pena di vivere nella legalita’. Per tale motivo coltivano i terreni confiscati e vendono i loro prodotti. Mattiello passa attraverso il foyer della villa fino alla cucina e mostra il primo miele prodotto a San Sebastiano, accatastato in piccoli barattoli sino all’altezza della testa. L’anno prossimo, quando saranno mature le prime nocciole, Mattiello ha intenzione di produrre torrone dal miele e dalle nocciole, il dolce bianco per il quale la regione è famosa. Sotto all’etichetta “Libera Terra” – alimento libero dalla mafia – sarà in vendita nei supermercati di tutta Italia. Il torrone sarà il primo prodotto di “Libera Terra” ad arrivare dal nord.

Finalmente ora c’è per tutti ciò che prima c’era soltanto per i simpatizzanti della mafia: questo è anche un simbolo. Mattiello è in piedi davanti al muro giallo di barattoli di miele luccicante e cita Carlo Alberto dalla Chiesa, uno dei più noti oppositori della mafia che fu assassinato nel 1982. Alla domanda cosa servisse per sconfiggere la mafia Chiesa non richiedeva più polizia, ma rispondeva:“lo Stato potrà sconfiggere la mafia solo quando concederà ai suoi cittadini come un diritto ciò che alla mafia viene concesso come favore. ”

Distribuire favori, questo anche i Belfiore lo sapevano fare molto bene. Regalavano i formaggi ai paesani oppure la frutta del loro giardino. Piccoli gesti mantengono l’amicizia. Allo stesso modo di conseguenza è difficile per i cittadini di San Sebastiano accettare i nuovi inquilini della villa. Che tra loro abbia vissuto una famiglia dell’Ndrangheta così a lungo, di questo non volevano saperne.

Però le cose lentamente cambiano. “Ultimamente c’era una signora con il suo nipotino. Era incuriosita da quello che si vede qui”, racconta Isabella Spezzano. Le prime richieste per usare la villa per corsi di ballo e pittura sono state presentate. Un buon contatto con gli abitanti del paese, questo sarebbe la vera vittoria sui Belfiore. Perché loro non sono ritornati in Calabria. No, loro hanno comprato una villa a poca distanza. “Ora abitano laggiù”, Spezzano indica sulla collina di fronte. Oggi la nuova casa della mafia si distingue a malapena nella nebbia, ma: “se loro vedono che viene gente nella loro casa e che la legalità vive, allora abbiamo vinto.”

Fonte: Italiadallestero

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