martedì, febbraio 02, 2010

Le parole di Ciancimino

Palermo, 1 feb.- Una ‘trattativa’ tra lo Stato e Cosa Nostra il cui frutto sarebbe stato un accordo in base al quale il boss Provenzano godeva di una sostanziale immunità. E della quale Virginio Rognoni e Nicola Mancino, entrambi esponenti della Dc e ministri rispettivamente della Difesa e dell'Interno nei primi anni '90, sarebbero stati i garanti. Sono queste alcune delle rivelazioni che Massimo Ciancimino, figlio di Vito, ex sindaco mafioso del capoluogo siciliano, ha fatto nella sua deposizione al processo a carico del Generale Mario Mori e del Colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra per la mancata cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano nell’ottobre del 1995. Rivelazioni che parlano anche di grandi investimenti di capitali a ‘Milano 2’ e di affari con i boss di mafia Salvatore e Antonino Buscemi e Franco Bonura.
“Avevo saputo da mio padre che Provenzano godeva di una sorta di 'immunità territoriale' che gli permetteva di muoversi liberamente” durante la sua latitanza “grazie a un accordo che anche mio padre aveva contribuito a stabilire. Un accordo che sarebbe stato stipulato fra il maggio 1992 e il dicembre dello stesso anno”. Grazie a questa immunità, "tra il '99 e il 2002 Provenzano venne più volte a casa nostra a Roma, vicino a Piazza di Spagna. Veniva quando voleva, senza appuntamenti. Tanto mio padre era agli arresti domiciliari".
Ma il racconto di Ciancimino jr, inizia dalla sua infanzia: “Ricordo che trascorrevamo insieme anche la villeggiatura, negli anni Settanta, quando io avevo 7-8 anni", ha detto ai pubblici ministeri Nino Di Matteo e Antonio Ingroia aggiungendo che "mio padre conosceva Bernardo Provenzano, che io continuo a chiamare 'ingegnere Lo Verde', da molto tempo, anche per il loro rapporto di vicinato. Erano entrambi di Corleone. Solo alla fine anni Ottanta, mentre ero dal barbiere, sfogliando una rivista, mi pare 'Epoca', vidi una sua foto e nella didascalia c'era scritto che si trattava del boss latitante Bernardo Provenzano. Chiesi a mio padre di quell'uomo. Mi rispose: stai attento al signor Lo Verde, da questa situazione non può salvarti nessuno".
Parlando della presunta trattativa tra lo Stato e la mafia, che secondo Ciancimino avrebbe avuto tra i protagonisti lo stesso generale Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donna, il figlio dell'ex sindaco di Palermo ha riferito di alcuni incontri tra il padre Vito e il vicecomandante del Ros, che sarebbero avvenuti prima della strage di via d'Amelio, il 19 luglio 1992, nella quale furono uccisi Paolo Borsellino e la sua scorta. Incontri che si sarebbero svolti solo dopo l'"autorizzazione" di Provenzano e di "un uomo dei servizi segreti", chiamato "signor Franco". Fu proprio il 'signor Franco' che fece avere allo stesso Ciancimino junior le condoglianze del boss Bernardo Provenzano per la morte del padre Vito. Ma alla domanda se conosce la sua dentità, ha risposto con un secco 'no'. "Mio padre stesso non mi ha mai detto chi era, ma so che è ancora in vita".
"Nella prima decade di giugno del 1992- dice il testimone - il capitano incontrò più volte mio padre, nella nostra casa romana di via San Sebastianello a Roma. Al primo incontro non era presente il suo superiore, l'allora colonnello Mario Mori. Quando De Donno se ne andò mio padre disse che l'incontro era andato bene e che c'era un margine per iniziare a trattare. Al terzo incontro c'era, invece, anche Mori. Siamo a metà di giugno del 1992”. Alla domanda del pm Antonino Di Matteo su quale fosse la proposta dei Carabinieri nella trattativa, Ciancimino junior ha risposto: ''in cambio di una resa incondizionata dei grossi latitanti, cioe' Provenzano e Riina, assicuravano un trattamento di favore verso i familiari dei detenuti e misure meno pesanti per i detenuti. Ma per mio padre i Carabinieri sbagliavano nel volere cercare un contatto con i vertici di Cosa nostra, con Riina in particolare. Diceva che era come mettere benzina nel radiatore di una macchina''. Massimo Ciancimino ha quindi parlato anche del cosiddetto 'papello', con le richieste di Cosa nostra allo Stato. ''Il 29 giugno 1992 presi dalle mani di Antonino Cina', il 'papello' davanti al bar Caflish di Mondello, a Palermo''.
Ricostruendo l'attività politico-mafiosa del padre, Ciancimino jr. ha quindi raccontato che aveva una sorta di 'linea rossa', cioè un numero di telefono "sempre a disposizione" per i boss e i politici, e di aver egli stesso fatto da tramite ricevendo o consegnando ‘pizzini’ a Provenzano.
Quanto agli appalti, continua, “mio padre aveva inventato una specie di sistema di spartizione. D'accordo con Bernardo Provenzano gli appalti venivano spartiti equamente tra tutti i partiti, in consiglio comunale, a seconda della loro rappresentatività”. Ma non tutto avveniva in Sicilia. Negli anni Settanta Vito Ciancimino avrebbe investito i proventi delle sue attività anche nel Nord Italia e all'estero, in Canada. In Italia, soprattutto dopo "le inchieste della Commissione antimafia" aveva deciso di "lasciare Palermo e di puntare sulle aree del Milanese". "Mio padre - ha detto ancora il teste - lavorava in quegli anni con i costruttori Nino Buscemi e Franco Bonura che lui chiamava 'i gemelli'. I due erano stati più volte soci di fatto di mio padre. E insieme investirono soldi anche in una grande realizzazione alla periferia di Milano, che è stata poi chiamata Milano 2". Sugli investimenti all'estero ha fatto i nomi di "Ciarrapico e Caltagirone, che gli consigliarono di puntare sul Canada".

Fonte: Adnkronos

1 commento:

Keith (info@paroladelgiorno.com) ha detto...

Sono contento che continui il tuo blog! Mi piace leggere gli articoli che suggerisca.

Keith